Maxi sequestro di circa 50 milioni di euro nel settore ittico a Gela (CL): coinvolte società operanti nel territorio nazionale, Campania compresa, e in Marocco. (Filmato)

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GdiF Caltanissetta: lotta alla criminalità organizzata. Maxi sequestro di circa 50 milioni di euro nel settore ittico a Gela (CL): coinvolte società operanti in Italia e Marocco.

La Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Caltanissetta  ha eseguito un provvedimento di sequestro di beni (di I grado), emesso dal Tribunale di Caltanissetta – Sezione Misure di Prevenzione, su proposta della Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, nei confronti di un imprenditore gelese attivo nel settore della pesca e della commercializzazione di prodotti ittici, anche su scala internazionale.

Il provvedimento, condotto dai militari del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Caltanissetta con il supporto operativo del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo, ha riguardato un patrimonio del valore complessivo di circa 50 milioni di euro: oltre 40 immobili, veicoli, conti correnti, quote societarie, unità navali (pescherecci) e compendi aziendali, con ramificazioni operative in Italia e Marocco.

Il sequestro nasce da accertamenti patrimoniali, ex art. 19 del D.Lgs. 159/2011, delegati dalla Procura, su 45 soggetti tra persone fisiche e giuridiche. È stato ricostruito un esteso reticolo societario e familiare, con significativa sperequazione tra redditi dichiarati e incremento patrimoniale nel periodo 1985-2022.

L’imprenditore coinvolto è stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa, ritenuto parte dell’organizzazione criminale di stampo mafioso operante a Gela (CL), riconducibile a una nota famiglia mafiosa locale.

In primo grado, l’imprenditore era stato assolto dal Tribunale di Gela, che aveva disposto la restituzione dei beni sequestrati. Tuttavia, su impugnazione della Procura di Caltanissetta, la Corte d’Appello ha ribaltato il verdetto, dichiarandolo colpevole di associazione mafiosa. La condanna è stata confermata dalla Corte di Cassazione nel febbraio 2024.

Si è accertato che l’imprenditore, operante nel commercio ittico, era punto di riferimento dell’organizzazione mafiosa e in particolare del suo reggente, fornendo supporto nell’infiltrazione nel tessuto economico legale e nel riciclaggio di proventi illeciti. Tali attività venivano svolte in condizioni di vantaggio grazie all’influenza mafiosa esercitata nel mercato.

Il reggente mafioso aveva richiesto all’imprenditore la disponibilità a gestire attività commerciali nel settore ittico, in un progetto più ampio condiviso con altri imprenditori gelesi. Questo includeva l’estensione del commercio dal Marocco, dove un altro esponente della consorteria già operava, e dove l’imprenditore aveva assunto il controllo di una società con presumibili rapporti con realtà della Campania.

Le indagini hanno mostrato che l’interesse della criminalità organizzata per l’ingerenza nei settori economici è elevato, in particolare per il settore ittico siciliano, monopolizzato da soggetti mafiosi che imponevano le forniture di pesce, alterando il libero mercato.

Le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, sin dagli anni ’80, hanno descritto rapporti illeciti tra l’imprenditore coinvolto e la consorteria mafiosa, fondati su reciproci vantaggi.

Nell’ambito dell’operazione “Terra Nuova 2”, dichiarazioni convergenti hanno delineato il profilo dell’imprenditore come uomo di fiducia di uno dei capi mafiosi, il quale avrebbe reinvestito i proventi del traffico di stupefacenti nelle attività economiche gestite da lui e dal fratello. Questi ultimi beneficiavano della “protezione” del clan mafioso.

In un procedimento del 2015 la Corte d’Appello ha confermato il ruolo centrale dell’imprenditore nella struttura associativa sin dagli anni Novanta, evidenziando un rapporto evolutosi da semplice amicizia a legame economico-organizzativo profondo.

Secondo la Corte, vi era un evidente interesse reciproco tra il clan mafioso e l’imprenditore di successo nel settore ittico, volto all’espansione economica, inclusa la sponda africana del Mediterraneo.

L’imprenditore è stato condannato, nel 2022,  a 6 anni e 8 mesi di reclusione dalla Corte d’Appello di Caltanissetta confermati in Cassazione nel 2023, per partecipazione all’associazione mafiosa, di cui ha goduto protezione e vantaggi economici.

Molti dei beni sequestrati risultano formalmente intestati al fratello dell’imprenditore, soggetto non condannato per mafia ma considerato “terzo interessato” per la titolarità apparente dei cespiti.

La Guardia di Finanza ha ricostruito l’intero patrimonio dei soggetti coinvolti, evidenziando forti incongruenze tra reddito dichiarato e investimenti effettuati, specie tra il 1998 e il 2007. I capitali investiti, privi di fonte lecita, sono ritenuti provenienti da risorse di origine illecita.

Determinante è stato il supporto operativo del Reparto Aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo, che ha consentito il sequestro di natanti (pescherecci e una barca da diporto) legati alle società dei fratelli coinvolti.

La misura, che anticipa la richiesta di confisca definitiva, mira a sottrarre risorse alle consorterie mafiose, rafforzando il contrasto alla contaminazione dell’economia legale da parte della criminalità organizzata.