
L’immagine più chiara di una vita vuota è quella dell’uomo di periferia, che si sveglia alla stessa ora ogni mattina, dal lunedì al venerdì, prende lo stesso treno per andare a lavorare in città, svolge lo stesso compito in ufficio, pranza nello stesso posto, lascia la stessa mancia alla cameriera ogni giorno, torna a casa con lo stesso treno ogni sera, ha due o tre figli, coltiva un piccolo giardino, trascorre due settimane di vacanza al mare ogni estate senza davvero godersele, va in chiesa ogni Natale e Pasqua, e si muove attraverso un’esistenza routinaria e meccanica anno dopo anno, fino a quando finalmente va in pensione a sessantacinque anni e, poco dopo, muore di insufficienza cardiaca, forse causata dall’ostilità repressa…
(Rollo May 1909-1994)
In un’epoca in cui la modernità trasforma ogni aspetto della quotidianità in un meccanismo standardizzato e privato di autenticità, l’immagine dell’uomo di periferia di Rollo May si fa ancora più pregnante, espandendosi al contesto odierno in cui non solo l’impiegato, ma anche il disoccupato, la commessa e tanti altri operano all’interno di un sistema dominato dal terziario, dalla precarietà e dall’alienazione indotta dai social, fino a giungere all’aberrazione dell’isolamento sociale (hikikomori).
Oggi, la vita si configura come una continua ripetizione di orari fissi, spostamenti su rotaia o in auto, e ritmi imposti da esigenze economiche che costringono talora a rinunciare anche a quelle brevi vacanze estive, un tempo attese come momenti di rigenerazione, e portano, ancor più, a limitare la dimensione stessa della famiglia, ormai spesso ridotta a un solo figlio, a causa della necessità di concentrare risorse in un contesto di crisi economica.
La routine, che si manifesta nei gesti quotidiani – nei soliti saluti scambiati con semi-sconosciuti al pranzo nello stesso locale, dal piccolo vaso sul balcone che ha sostituito il piccolo giardino fino alle fughe occasionali con qualche collega o all’entusiasmo momentaneo per una partita di calcio – diventa un rituale che, seppur offra una parvenza di ordine e sicurezza, finisce per soffocare la spontaneità e la ricerca di senso autentico della vita.
Dal punto di vista sociologico, questa standardizzazione delle esperienze rispecchia una società che ha trasformato il lavoro in un ingranaggio meccanico, dove la dimensione umana viene sacrificata in favore della produttività, mentre l’individuo, travolto dal ritmo frenetico del settore terziario e dalla precarietà delle nuove forme occupazionali, si trova intrappolato in un’esistenza che somiglia a un eterno ritorno, priva di veri momenti di svolta.
L’analisi antropologica ci invita a riconoscere che, in passato, i riti quotidiani costituivano il tessuto connettivo di una comunità, veicolando tradizioni e relazioni, mentre oggi essi si riducono a gesti ripetitivi, incapaci di veicolare un senso di appartenenza o di autenticità, trasformando la quotidianità in un rituale meccanico che allontana l’individuo dalle proprie radici.
Parallelamente, la prospettiva psicologica evidenzia come la monotonia e l’impossibilità di interrompere il ciclo giornaliero generino una profonda sensazione di vuoto esistenziale, alimentando tensioni interiori che si traducono in quella “ostilità repressa” che Rollo May descrive, con effetti deleteri non solo sul benessere emotivo ma anche su quello fisico, contribuendo a un deterioramento globale dello stato di salute fisica e mentale che, talora spinge all’uso di sostanze alienanti e distruttive, come l’alcol e la droga.
Il concetto di wellness, oggi più che mai centrale, si trova messo a dura prova dalla mancanza di opportunità di rigenerazione: le poche “trasgressioni” che si concedono risultano insufficienti a contrastare gli effetti di una vita costantemente scandita da ritmi frenetici e da una percezione del tempo come risorsa sempre più scarsa.
Sul piano filosofico e buddista, la crisi esistenziale contemporanea viene interpretata come il risultato dell’attaccamento a una routine che priva l’individuo della capacità di vivere pienamente il presente, invitandolo a praticare la mindfulness e a riconoscere l’illusorietà delle evasioni offerte dai social media e dai dispositivi digitali, strumenti che promettono connessione e liberazione ma che, paradossalmente, accentuano l’alienazione e il distacco dalla realtà autentica.
Così, l’uomo moderno – che si trovi a fronteggiare non solo la pressione del lavoro in un mondo sempre più terziario, ma anche la realtà di un mercato del lavoro in continua evoluzione, segnato dalla disoccupazione e dalla precarietà – si trova a vivere una quotidianità che, pur offrendo una parvenza di stabilità, risulta essere una gabbia invisibile, dove la ricerca di significato diventa un atto di ribellione contro l’omologazione e l’alienazione.
In questo scenario, la via proposta dalla filosofia esistenzialista e dagli insegnamenti buddisti non è tanto quella di fuggire dalla routine, ma di trasformarla in un’opportunità per riscoprire il valore del momento presente, per trovare nella ripetizione quotidiana non una condanna, ma un invito alla consapevolezza e alla riscoperta della propria umanità. La critica a una società che ha ridotto l’individuo a un ingranaggio di una macchina economica e sociale diventa così un monito, un invito a rompere, anche se con piccoli passi, la catena di una vita meccanica, riscoprendo la bellezza nascosta in ogni gesto quotidiano e abbracciando la possibilità di un’esistenza vissuta pienamente, in cui ogni scappatella, per quanto breve, diventi un segno tangibile di quella ribellione silenziosa contro l’alienazione imposta dalla modernità digitale.
A questo quadro già complesso si aggiungono i rischi derivanti dai possibili scenari tecnologici: l’avanzata dell’intelligenza artificiale e della robotica minaccia di sostituire l’uomo in numerose attività, alimentando un aumento della disoccupazione e indebolendo ulteriormente la percezione del proprio ruolo nel mondo.
Questa evoluzione, anziché liberare l’individuo da compiti ripetitivi, rischia di aggravare il senso di alienazione, poiché la sostituzione dell’uomo con macchine intelligenti mette in discussione l’essenza stessa del lavoro, del valore umano e della capacità creativa, portando a una crisi esistenziale di portata globale. La prospettiva filosofica e buddista offre, in questo contesto, una via di riflessione che invita a distaccarsi dall’attaccamento a una routine che priva il presente della sua autenticità, esortando a praticare la mindfulness per riconoscere l’illusorietà delle evasioni digitali offerte dai social media e dai dispositivi tecnologici, strumenti che, sebbene promettano una connessione universale, finiscono per isolare ulteriormente l’individuo.
L’ironia della situazione si manifesta nel paradosso di una società tecnologicamente avanzata che, invece di liberare l’essere umano, lo intrappola in una gabbia invisibile, dove la ricerca di significato diventa un atto di ribellione contro una realtà opprimente e meccanica. Così, l’uomo moderno, costretto non solo dalla pressione di un lavoro incentrato sul settore terziario, ma anche dalla minaccia di un futuro in cui la robotica e l’intelligenza artificiale possano erodere la sua centralità, si trova a dover ripensare il proprio ruolo e la propria identità, sfidando una crisi che è tanto tecnologica quanto esistenziale. In questo scenario, il progresso non è più solo una promessa di efficienza, ma diventa anche un invito a riscoprire il valore dell’umanità, a riconfigurare il rapporto con il lavoro e la società, e a trasformare la routine quotidiana in un’opportunità per vivere pienamente il presente.
La critica alla società moderna, che ha ridotto l’individuo a un mero ingranaggio, si arricchisce così di una dimensione esistenziale che mette in luce il pericolo di una perdita di senso profondo, invitando a un ritorno alla consapevolezza e a una riscoperta della bellezza insita in ogni gesto quotidiano, nonostante le sfide poste dalla digitalizzazione e dall’automazione.
Bibliografia
• May, Rollo (1994). L’uomo in crisi: alle radici dell’esistenza moderna.
• Durkheim, Émile (1893). La divisione del lavoro sociale.
• Weber, Max (1905). L’etica protestante e lo spirito del capitalismo.
• Thich Nhat Hanh (1991). Il miracolo della presenza mentale.
• Turkle, Sherry (2011). Solitude, Inc.: Reclaiming Our Lives in a Digital Age.
• Kabat-Zinn, Jon (1990). Full Catastrophe Living.
• Brynjolfsson, Erik & McAfee, Andrew (2014). The Second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies.
• Susskind, Richard & Susskind, Daniel (2015). The Future of the Professions.
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