Salerno 1954: quando in 24 ore cadde un terzo della pioggia di un anno – La tragedia che sconvolse la Costiera Amalfitana

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L’alluvione che colpì Salerno e la Costiera Amalfitana tra il 25 e il 26 ottobre 1954 rappresenta una delle più gravi catastrofi idrogeologiche dell’Italia del dopoguerra. In meno di ventiquattro ore, si abbatté sulla zona una quantità di pioggia che superò i 500 mm, un terzo della media annua, ma alcune fonti parlano addirittura di picchi locali fino a 1300 mm.
Un evento meteorologico di tale intensità, concentrato in un arco temporale così ristretto, fu sufficiente a trasformare i torrenti in fiumi impetuosi e le colline in frane mobili, travolgendo case, strade, vite.

La pioggia iniziò a cadere con insistenza nel primo pomeriggio del 25 ottobre, ma fu nella fascia serale, tra le 20:00 e la mezzanotte, che si scatenò il vero inferno. Le precipitazioni assunsero le caratteristiche di un nubifragio, e continuarono per tutta la notte. I bacini idrografici dei torrenti Olivieri, Fusandola e Rafastia, già saturi, tracimarono, riversando fango e detriti lungo i canaloni che scendevano verso la città. Le acque, cariche di terra e alberi sradicati, si abbatterono con violenza su interi quartieri, distruggendo edifici e trascinando via tutto ciò che incontravano.

Il bilancio fu devastante: 318 vittime accertate, 250 feriti e oltre 5.500 sfollati. A Salerno si contarono circa 100 morti, ma fu Vietri sul Mare a pagare il tributo più alto, con oltre 100 vittime. Anche Cava de’ Tirreni e Maiori furono profondamente colpite, con decine di morti ciascuna. Le immagini dell’epoca mostrano una città irriconoscibile, sommersa dal fango, con edifici crollati e strade trasformate in fiumi. La linea di costa stessa, in alcuni punti, cambiò per sempre.

A rendere ancora più tragico l’evento fu la scarsa preparazione del territorio. Le colline sovrastanti Salerno e la Costiera erano state oggetto, nei decenni precedenti, di intensi disboscamenti, spesso abusivi, che avevano compromesso la stabilità del suolo. La vegetazione, che avrebbe potuto rallentare il deflusso delle acque, era stata rimossa, lasciando spazio a versanti nudi e vulnerabili. Inoltre, l’urbanizzazione crescente, spesso priva di una pianificazione adeguata, aveva portato alla costruzione di abitazioni in aree a rischio, lungo i letti dei torrenti o ai piedi di pendii instabili.

L’alluvione del 1954 non fu solo una tragedia naturale, ma anche una ferita sociale e politica. Le autorità locali e nazionali furono colte impreparate, e i soccorsi arrivarono con ritardo. Tuttavia, la reazione della popolazione fu straordinaria: migliaia di volontari si mobilitarono per scavare tra le macerie, accogliere gli sfollati, distribuire cibo e coperte. La solidarietà fu il vero argine contro la disperazione. In seguito, l’evento divenne un punto di svolta per la consapevolezza del rischio idrogeologico in Italia. Si cominciò a parlare con maggiore insistenza della necessità di una pianificazione territoriale più attenta, della tutela dei boschi, della manutenzione dei corsi d’acqua.

Settant’anni dopo, il ricordo di quella “malanotte” è ancora vivo nella memoria collettiva. Ogni anno, a Salerno e nei comuni colpiti, si tengono cerimonie commemorative, si depongono fiori, si leggono i nomi delle vittime. Ma il vero omaggio a chi ha perso la vita in quella tragedia dovrebbe essere un impegno concreto per evitare che simili disastri si ripetano. Perché, come spesso accade in Italia, la natura non dimentica, e torna a presentare il conto quando l’uomo dimentica di rispettarla. L’alluvione del 1954 ci ricorda che la prevenzione non è un lusso, ma una necessità. E che dietro ogni numero, ogni statistica, c’è una storia, una famiglia, una vita spezzata.