La Campania non ha bisogno di presentazioni quando si parla di calore umano, cucina memorabile e un’energia che sembra provenire da una sorgente geotermica di buonumore. Eppure, se c’è un altro tratto che la gente tende ad associare alla regione — con un sorriso complice più che con una smorfia di disapprovazione — è quella sottile, tenace inclinazione verso i rituali propiziatori, i talismani e quel repertorio di gesti che, tramandati di generazione in generazione, funzionano più come una lingua affettiva che come una vera strategia contro la sfortuna.
Osservare la scena con simpatia significa riconoscere che, dietro al corno rosso appeso allo specchietto e alla mano che schiocca per scansare il malocchio, c’è molto di più di un semplice vezzo: c’è una cultura della cura simbolica, una risposta a incertezze quotidiane e un modo collettivo di prendersi cura gli uni degli altri, anche in forma rituale.
È facile ridurre tutto a un aneddoto folklorico: «Eh, quei napoletani… sempre col malocchio in tasca». Ma questa semplificazione perde la sostanza. La pratica della scaramanzia, come molti ricercatori di psicologia sociale hanno sottolineato, prende vita dove domina la necessità di significato e controllo.
Quando il futuro sembra nebuloso, persino il gesto più piccolo — passare il sale, toccare ferro, portare con sé un amuleto — restituisce una sensazione di ordine che il mondo razionale non sempre è in grado di offrire.
Non è questione di credulità infantile, è una strategia emotiva: un modo concreto per dare forma a qualcosa di incerto. Questa verità psicologica spiega perché i rituali resistono, si evolvono e spesso si trasferiscono sul piano digitale, senza perdere la loro funzione consolatoria.
Parlare di numeri aiuta a capire l’entità del fenomeno senza sbattere la porta in faccia a nessuno. Purtroppo, l’attenzione verso pratiche esoteriche e consulenze di vario genere è diventata negli ultimi anni un mercato rilevante, e non solo un curioso sottofondo.
Inchieste giornalistiche e rapporti istituzionali hanno messo in luce come, nelle grandi città e nei contesti regionali più legati alla tradizione, si creino intrecci tra domanda di rituali e un’opaca offerta commerciale.
Questo non significa criminalizzare chi offre servizi esoterici: molte persone lavorano con serietà e rispetto, offrendo conforto a chi lo cerca. Al tempo stesso la presenza di operatori improvvisati e di truffe connesse al mondo dell’occulto è un elemento che richiede attenzione e tutela per i consumatori più vulnerabili, soprattutto quando l’isolamento sociale o difficoltà economiche aumentano la propensione a cercare soluzioni “rapide” a problemi complessi.
Nel guardare la Campania con affetto critico, vale la pena sottolineare che la superstizione qui è soprattutto performativa e relazionale. Il corno non è solo un oggetto, è un segnale: dice agli altri «ci tieni a te stesso», «credi nella tradizione», «sei parte di questa comunità».
La battuta scaramantica al bar, il gesto fatto sotto il naso prima di un esame o di un viaggio, sono micro-rituali che creano legami. In altre parole, la superstizione spesso intreccia coesione sociale e gerarchia emotiva: chi tramanda i rituali esercita anche un ruolo di cura, di educatore informale, e chi li riceve si sente protetto, accolto.
Pensare di cancellare questi gesti come se fossero soltanto superstizione sarebbe come pretendere di estirpare una lingua regionale perché suona “antiquata”: si perderebbe una forma di sapere relazionale.
Restare ironici senza essere offensivi significa anche riconoscere che l’Italia, in tutte le sue regioni, coltiva forme di relazione con l’incerto. Il Nord potrà vantare statistiche di diversa natura e modalità di espressione differenti, ma il bisogno di rituale non sparisce: cambia forma, si privatizza, si declina secondo nuove modalità di consumo, talvolta più sobrie, talvolta altrettanto simboliche.
Dunque, invece di una contrapposizione “Nord razionale vs Sud istintivo”, conviene parlare di diversità di tradizione, di espressione sociale e di contesti storici che hanno modellato pratiche differenti. È una diversità che merita il rispetto del dialogo antropologico e non la derisione facile.
Dal punto di vista pratico, e con l’ironia che fa sorridere anziché puntare il dito, si può dire che la Campania ha trasformato l’arte di «non lasciare la fortuna al caso» in una disciplina quasi olimpica: tra un caffè e una chiacchiera, si cercano segni, si dispensano consigli e, perché no, si condivide un amuleto come fosse una buona ricetta.
Questo non toglie che esista un lato vulnerabile: quando la speranza si converte in spesa eccessiva o quando la fiducia viene sfruttata da chi promette guarigioni miracolose, allora la simpatia lascia il posto alla preoccupazione.
Le istituzioni, i servizi sociali e le associazioni di consumatori hanno un ruolo chiave nel fornire strumenti di informazione e tutela, senza la presunzione di inginocchiarsi davanti alle tradizioni, ma nemmeno di calpestarle.
Estendere lo sguardo oltre la smorfia e il gesto porta a considerare un fatto interessante: la modernità non spazza via il rituale, lo reinventa. Il web, i social, le community online hanno fatto sì che pratiche antiche trovino nuove forme di espressione e diffusione, e che la richiesta di consulti o di rassicurazioni si trasformi in contenuto condiviso, in servizi digitali e in aggregazioni di interesse.
È un processo che presenta opportunità — accesso a informazioni, confronto, pluralità di offerte — e rischi — disinformazione, truffe e mercificazione delle speranze personali.
Da questo punto di vista la sfida è duplice: potenziare l’alfabetizzazione critica digitale e al contempo promuovere una cultura della prevenzione che non passi per la derisione dei simboli ma per la protezione delle persone.
Se vogliamo dunque essere affettuosamente pungenti, possiamo scherzare sul fatto che la Campania potrebbe istituire il primo «Museo del Portafortuna» dove esporre corni vintage, collane, e le migliori performance rituali, con audioguide che raccontino la storia e la psicologia del gesto.
Ma è una battuta che nasconde una verità seria: comprendere la storia, la funzione sociale e il valore simbolico della superstizione permette di avvicinare il fenomeno senza sermoni e senza paternalismi. È con questo spirito che si possono elaborare politiche efficaci: educazione ai media, sostegno economico e sociale alle fasce più fragili, controlli mirati contro le truffe, e campagne informative che parlino al cuore delle persone senza ignorare le loro radici culturali.
Concludere con un sorriso non è sminuire il problema: è un invito alla conversazione. La Campania non va «ripulita» dalle sue tradizioni, va ascoltata e accompagnata.
Dietro il gesto scaramantico c’è spesso il desiderio di protezione, la voglia di sentirsi parte di una comunità, il bisogno di speranza. Ironizzare con gentilezza significa riconoscere l’umanità del gesto e, allo stesso tempo, lavorare per ridurre i rischi che possono nascere quando la speranza diventa merce. Così il corno appeso allo specchietto rimane, ma magari qualcuno in più saprà distinguere tra una tradizione affettuosa e una richiesta d’aiuto che merita risposta concreta.

