Chi lancia i droni che sconfinano in Europa? E perché?

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Nel cielo d’Europa si moltiplicano episodi inquietanti: droni non identificati che violano lo spazio aereo di paesi membri della NATO, sorvolando territori sensibili, basi militari, infrastrutture energetiche.
Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Norvegia, Polonia e Romania hanno denunciato incursioni ripetute. La Russia viene indicata come principale responsabile, ma la realtà potrebbe essere più sfumata, più ambigua, più strategicamente opaca.

Mosca potrebbe utilizzare questi droni come strumenti di guerra ibrida, per testare le difese europee, provocare reazioni, confondere le intelligence. L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone ha parlato di atti “sconsiderati” e “pericolosi”, attribuendo alla Russia la piena responsabilità. Tuttavia, in un contesto di conflitto asimmetrico, non si può escludere che alcuni droni siano lanciati da attori terzi, magari con tecnologia russa, ma con finalità diverse.

D’altra parte, non si può neppure escludere del tutto che l’Ucraina possa essere coinvolta in alcune operazioni tendenti a forzare l’intervento dei Paesi NATO, soprattutto se si considera il precedente del sabotaggio al metanodotto Nord Stream, dove alcune fonti di intelligence occidentale hanno ipotizzato un coinvolgimento indiretto di Kiev.

Non si può escludere, quindi, l’ipotesi di operazioni sotto falsa bandiera – di questa e perfino dell’altra parte dell’oceano in cui i droni partono da territori controllati da un attore ma simulano l’origine di un altro. In una guerra dell’informazione, la confusione sull’origine è essa stessa una strategia. E in questo gioco di specchi, l’Europa rischia di reagire a provocazioni di cui non conosce il vero mandante e di essere strumentalizzata e trascinata in situazioni ingarbugliate e pericolose che non fanno gli interessi dei suoi popoli.

La Cina, sempre più legata alla Russia sul piano militare, potrebbe avere un ruolo indiretto, fornendo tecnologia, know-how o addestramento. Gli accordi tra Mosca e Pechino per la formazione di battaglioni aviotrasportati e la condivisione di tecnologie militari dimostrano una crescente interoperabilità.
In questo contesto, alcuni droni potrebbero essere il frutto di una cooperazione strategica tra potenze revisioniste, con l’Europa come terreno di prova.

E poi ci sono i mercanti di armi, i soggetti opachi che prosperano nei conflitti, vendendo tecnologia dronica (e non solo) a chiunque abbia denaro e obiettivi. In un mercato globale dove i droni si acquistano online, non è impossibile che alcuni sconfinamenti siano opera di attori privati, gruppi paramilitari, contractor o persino organizzazioni criminali, mossi da interessi economici o geopolitici.

L’ipotesi più probabile – quella seguita dalla narrazione dominante – e che alcuni droni potrebbero essere stati lanciati per sondare la reattività dei Paesi europei, in un gioco sottile tra autodifesa e provocazione.

Da questo punto di vista, la risposta europea potrebbe non essere sufficiente nell’immediato, salvo a diventare una reazione vigorosa, appena passati primi momenti di confusione.

Allo stato attuale, serve coordinamento tra intelligence, investimenti in tecnologie anti-drone e regole comuni per la gestione dello spazio aereo. Ma soprattutto, serve una consapevolezza politica: i droni non sono solo minacce fisiche, ma simboli di una guerra che si combatte anche nella percezione, nella narrativa, nella fiducia tra Stati.

In definitiva, non è del tutto chiaro chi e perché lancia i droni che sconfinano. Potrebbero essere russi, ucraini, cinesi, mercenari, mercanti di guerra, o attori che non conosciamo ancora. 

Perciò, fin quando la situazione non sarà più chiara, sarebbe bene che l’Europa – che, nel dubbio, deve sicuramente migliorare la propria difesa autonoma – non risponda con avventatezza, ma con estrema ponderazione.


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