
Prima che un vulcano torni alla vita, il sottosuolo rivela indizi sinora inascoltati che possono avvertire dell’imminente eruzione: il magma che spinge verso l’alto libera anidride carbonica e vapore acqueo, modificando chimicamente e fisicamente il terreno circostante. Questo movimento invisibile agli occhi umani scatena una catena di reazioni sia nell’ambiente roccioso sia in quello vivente. In rocce ricche di quarzo e feldspato, per effetto della pressione crescente si genera una piccola carica elettrica grazie al fenomeno della piezoelettricità, e talvolta l’energia liberata si manifesta come bagliori sfuggenti nell’atmosfera — le cosiddette “luci sismiche” osservate da secoli in corrispondenza di eventi tellurici. Analogamente, fin dall’antichità si è fatto affidamento sull’istinto degli animali: nella Cina imperiale si racconta di gatti che, impauriti senza motivo apparente, si rifugiavano lontano dalle mura delle città giorni prima di scosse distruttive, mentre topi e serpenti fuggivano dai loro nascondigli ben prima del terremoto che nel 373 a.C. sconvolse l’Elide, episodio annotato da storici come Thucydide.
Negli ultimi anni gli studiosi hanno rivolto l’attenzione verso un indicatore più sottile e costantemente presente sul territorio: le piante. Quando i gas magmatici risalgono attraverso le falde, il sedimentarsi di CO₂ e umidità intorno alle radici influisce sulla respirazione e sulla traspirazione dei tessuti vegetali. Alcuni alberi e arbusti manifestano variazioni nella loro attività fotosintetica: le foglie diventano più ricche di clorofilla e cambiano marginalmente la loro riflettanza nello spettro visibile e vicino-infrarosso. Questi mutamenti, pur impercettibili a un osservatore a terra, lasciano però un’impronta chiarissima ai sensori che scrutano la Terra dallo spazio.
Grazie ai satelliti Landsat 8 della NASA e Sentinel-2 dell’Agenzia Spaziale Europea, oggi è possibile analizzare con continuità la salute delle foreste e delle macchie boschive, confrontando i tassi di crescita e i livelli di verde con serie storiche di immagini multispettrali. Attraverso algoritmi in grado di estrarre l’indice di vegetazione normalizzato (NDVI), i ricercatori hanno individuato anomalie nelle fasce verdi attorno a vulcani attivi in Cile e Costa Rica. In queste aree, un aumento insolito del NDVI è stato confermato da rilievi sul terreno: misurazioni dirette del flusso di CO₂ nel suolo mostravano concentrazioni più elevate del normale, mentre l’analisi spettroscopica dei campioni fogliari evidenziava un incremento dei pigmenti fotosintetici.
Questa tecnica non pretende di sostituire gli strumenti tradizionali, ma di integrarsi con essi. I sismografi continuano a registrare le vibrazioni della crosta, i rilevatori di gas misurano in modo puntuale le emissioni fumaroliche, e le stazioni geochimiche analizzano ogni giorno i composti rilasciati. Il monitoraggio vegetale, invece, offre un’istantanea ampiamente distribuita sul territorio, capace di coprire zone remote dove installare apparecchiature è pericoloso o logisticamente proibitivo. In pratica, ogni albero diventa un sensore naturale, ogni foglia una piccola stazione di rilevamento passiva.
Naturalmente, non tutte le specie reagiscono allo stesso modo: alcune mostrano una risposta molto marcata alle variazioni di CO₂ e umidità, altre risultano più timide o immuni alle fluttuazioni. Altre variabili esterne—come malattie fungine, incendi boschivi o nuvolosità persistente—possono introdurre rumore nei dati satellitari, rendendo indispensabile un’analisi multidisciplinare. In tal senso, gli scienziati stanno mettendo a punto reti ibride che combinano il telerilevamento della vegetazione con misure elettromagnetiche e sismiche, nonché con droni capaci di volare a bassa quota per rilevare microalterazioni nella composizione del terreno.
Sul lungo termine, la speranza è di costruire modelli predittivi sempre più accurati, in grado di avvisare con giorni o addirittura settimane di anticipo rispetto al risveglio vulcanico. In un contesto in cui una tempestiva evacuazione può fare la differenza tra un allarme rientrato e una tragedia, il “respiro verde” delle piante potrebbe rivelarsi il miglior alleato della prevenzione. È un’innovazione silenziosa, che non richiede energia né manutenzioni complesse, ma che poggia su dinamiche naturali e sofisticate osservazioni spaziali, trasformando foreste e boschi in reti di sentinelle sempre all’erta. In questo dialogo tra vulcani, piante e satelliti, emerge un nuovo capitolo nella convivenza tra l’uomo e i giganti di lava del nostro pianeta.