
In un contesto economico sempre più complesso, i giovani italiani affrontano un muro d’indifferenza: a dicembre 2024 il 19,4 % di chi ha tra i 15 e i 24 anni risulta disoccupato, un dato che stenta a migliorare nonostante timidi segnali di ripresa nel primo semestre dell’anno scorso. Dietro questa cifra si nascondono oltre 1,4 milioni di under 30 fuori da scuola, formazione e lavoro, con un costo stimato in oltre 15 miliardi di euro per l’economia nazionale.
Non va meglio a chi sfiora i cinquant’anni: per la fascia 50-64 anni il tasso di disoccupazione è pur se “basso” al 3,9 %, rappresentando però un ostacolo quasi insormontabile a un reinserimento che richiede spesso anni di riqualificazione e sacrifici. Le aziende italiane mostrano ancora una spiccata preferenza per profili più giovani, alimentando un circolo vizioso di esclusione e perdita di competenze.
Sul fronte previdenziale, oltre un milione di lavoratori si ritrova con “buchi” contributivi che rischiano di far slittare la pensione: grazie alla cosiddetta “pace contributiva” è possibile riscattare fino a cinque anni di periodi non coperti da imposte, ma la procedura può essere avviata solo fino al 31 dicembre 2025 e comporta oneri economici non alla portata di tutti. Chi non dispone di risorse da destinare a questo riscatto vede l’assegno previdenziale ridursi drasticamente, accentuando le disuguaglianze tra chi ha potuto versare contributi ininterrottamente e chi ha conosciuto solo forme di lavoro discontinuo.
Le conseguenze demografiche non si sono fatte attendere: nel 2023 le nascite in Italia sono scese a 379.890, con un calo del 3,4 % rispetto all’anno precedente e un tasso di fecondità medio fermo a 1,2 figli per donna. Dietro questi numeri c’è l’incertezza economica, la difficoltà a conciliare maternità e carriera e la mancanza di canali di supporto efficaci, che portano sempre più coppie a rinviare o rinunciare al progetto di avere figli.
Sul versante salariale, permane una divaricazione inaccettabile: nel 2022 la retribuzione oraria media femminile si è fermata a 15,9 € contro i 16,8 € degli uomini, con un gap del 5,6 % che raddoppia tra i laureati (16,6 %) e si fa drammatico nel livello dirigenziale (30,8 %). Alle disparità di genere si aggiunge una forbice fra settori: la retribuzione media annuale è di 38.760 € nell’industria in senso stretto e scende a 32.202 € nell’edilizia, segno di un mercato del lavoro ancora fortemente segmentato.
In questo scenario, la tensione psicologica esplode: un dipendente su tre soffre di sindrome da burnout, con sensazioni di esaurimento, distacco emotivo e negatività verso il proprio lavoro. Il 73 % degli intervistati ha vissuto stati di ansia o stress legati all’attività professionale, il 76,8 % fatica a bilanciare vita privata e lavoro, il 75,9 % si sente sovrastato dalle responsabilità quotidiane e il 73,9 % vive la pressione come un peso costante. Non sorprende che oltre un terzo dei lavoratori abbia cercato aiuto psicologico o counseling per gestire il malessere.
Eppure, mentre la vita di chi fatica a sbarcare il lunario diventa ogni giorno una lotta, molti cittadini riversano il loro furore sui social per un presunto torto arbitrale inflitto alla propria squadra di calcio, anziché mobilitarsi per rivendicare diritti e tutele sul lavoro. L’indignazione si dirama a macchia di leopardo in lamentele individuali, senza mai tradursi in una pressione politica organizzata, in scioperi efficaci o iniziative di massa che possano spingere le istituzioni a intervenire con riforme strutturali.
Il monito dell’esperimento “Universo 25” rimane inquietante: Calhoun dimostrò come un sovraffollamento eccessivo in un habitat apparentemente ideale per i topi porti al collasso delle relazioni sociali, a comportamenti aberranti e infine alla dissoluzione della comunità (https://irpiniattiva.news).
Se guardiamo alla nostra società, sempre più frammentata e iper‐connessa, il rischio di replicare dinamiche di disgregazione non è più fantascienza, ma una possibilità concreta, esasperata dall’automazione, dalla crisi climatica e dalle diseguaglianze estreme.
Zygmunt Bauman aveva descritto la modernità come “liquida”, in cui i punti di riferimento traballano e le certezze si dissolvono; oggi, nell’era dei social network e dell’economia digitale, quella liquidità è diventata “gassosa”: evanescente, volatile e priva di consistenza, tanto che persino il senso di comunità sembra svanito nell’aria..
Servirebbe una scintilla di coscienza collettiva per trasformare la rabbia diffusa in azione concreta: un patto d’onore tra generazioni, un’agenda di rivendicazioni condivise e un salto di qualità nell’impegno civico. Solo così potremo frenare l’emorragia demografica, colmare le diseguaglianze, salvare la salute mentale di milioni di persone e costruire un’Italia che non si limiti a lamentarsi di un rigore non dato, ma pretenda rigore e responsabilità da chi detiene il potere.
L’esperimento “Universo-25” e le sue possibili analogie con la società umana odierna.
Dai dati A.I.R.E.: L’Irpinia non è più terra di giovani ma nemmeno di anziani!