L’unica “battaglia” persa dal Comandante Diavolo

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Amedeo Guillet e Kadija.

 

Il Novecento, funestato dalle tragiche guerre e rivoluzioni nelle quali folli e dittatori hanno trascinato l’Europa e il mondo intero, proprio per tale motivo è stato anche un secolo denso di vite romanzesche ed avventurose, delle quali si conosce, spesso, poco o niente.

Una di tali vite fu sicuramente quella di Amedeo Guillet (Piacenza 1909 – Roma 2010).

Di nobile famiglia di origine savoiarda ma residente a Capua, Amedeo Guillet entrò nel 1928 nell’Accademia Militare di Modena, dalla quale uscì, nel 1931, con il grado di sottotenente di Cavalleria.

Selezionato per la squadra di equitazione che avrebbe dovuto rappresentare l’Italia alle Olimpiadi di Berlino del 1936, Amedeo Guillet decise di rinunciarvi per partecipare alle operazioni militari in Africa Orientale, dove operò al comando di uno squadrone di spahis (cavalieri libici inquadrati nell’Esercito Italiano), ricevendo una medaglia di bronzo per il coraggioso comportamento nella battaglia di Selaclacà, durante la quale – il 25 dicembre 1935 – fu ferito alla mano sinistra da una delle micidiali pallottole dum-dum.

Nel 1939 Guillet tornò in Etiopia, iniziando una avventurosa epopea (conclusasi solo nel 1943), alla quale – oltre a questo – dedicheremo sicuramente diversi altri “viaggi”, anche per alcuni legami che il personaggio ebbe con la nostra realtà territoriale.

Tornato, dunque, in quella che all’epoca veniva definita Africa Orientale Italiana e ricevuto il compito di controllare un vasto territorio, nel quale operavano ancora gruppi armati fedeli al deposto imperatore Hailé Selassié e numerose bande di predoni che saccheggiavano i villaggi, depredavano i convogli di rifornimenti e uccidevano tutti gli italiani che incontravano, il tenente Guillet organizzò una serie di ronde e spedizioni (che spesso duravano anche alcuni giorni) raggiungendo i villaggi più lontani, alla testa dei i suoi fedelissimi soldati indigeni, i quali, per la sua innata valentia militare, gli affibbiarono ben presto l’affettuoso ed encomiastico soprannome di Cummundar-as-sheitan: il Comandante diavolo.

Durante una di tali perlustrazioni, giunto in uno dei villaggi quasi al confine del territorio di sua competenza, Guillet vi trovò una insolita agitazione perché – come gli riferì il capo del villaggio, lo sheik Yusef – alcuni predoni, nella notte, avevano rubato il bestiame, che costituiva tutta la ricchezza della piccola comunità.

Senza por tempo in mezzo, Guillet si lanciò, con i suoi centocinquanta uomini, all’inseguimento dei banditi e, nel giro di qualche ora, riuscì a raggiungerli, a metterli in fuga e a recuperare il prezioso bestiame, riportandolo al villaggio.

Per ringraziarli del loro intervento, sheik Yusuf invitò Guillet e i suoi uomini a rimanere al villaggio, dove la sera, macellati alcuni capi di bestiame, ci fu una piccola festa.

Il tenente Guillet fu, naturalmente, invitato a sedersi nella capanna di Yusuf, il quale, essendo vedovo, incaricò sua figlia di fare gli onori di casa e – secondo l’uso locale – di lavare i piedi all’ospite. Fu così che Amedeo conobbe Kadija, la donna più bella che egli avesse, fino ad allora, incontrato in Africa e che non avrebbe mai più dimenticato per tutta la vita.

Saputo che, nonostante tale bellezza, non era ancora sposata, Amedeo, nel suo perfetto arabo (che aveva pazientemente iniziato a studiare sin dal 1935, appena messo piede in Africa), chiese a Kadija come mai nessun uomo l’avesse ancora chiesta in moglie ed ella, con candida semplicità, gli rispose che molti uomini avevano chiesto di sposarla ma che ella li aveva rifiutati tutti perché avrebbe sposato solo un capo.

Quando, due giorni dopo, lo squadrone di Guillet lasciò il villaggio, vi si aggregarono come volontari sia il figlio di sheik Yusuf, Asfao, sia alcuni uomini, con al seguito le rispettive famiglie, alle quali (senza dare nell’occhio) si unì anche Kadija.

Poco prima di arrivare al forte di Amba Ghiorghis (sede del suo reparto), Amedeo Guillet si accorse di Kadija e cercò con ogni mezzo di farla ritornare al suo villaggio, ma tutti i tentativi furono vani ed, anzi, nei giorni seguenti la giovane gli fece chiaramente capire che quel “capo” che ella voleva sposare era proprio lui. Amedeo cercò di dissuaderla, usando anche maniere brusche ma senza alcun risultato.

Qualche giorno dopo, infatti, mentre Amedeo era disteso sul suo spartano letto, esausto per un duro e sanguinoso combattimento con un agguerrito gruppo di ribelli etiopi, Kadija entrò nella sua tenda con gli occhi bagnati di lacrime, gli sfilò gli stivali, gli pulì dal volto il sudore e la polvere ed, infine, distese a terra una semplice stuoia sulla quale aveva deciso di trascorrere la notte.

Osservato, in silenzio, tutto ciò e stremato com’era, Amedeo non ebbe la forza di sostenere l’ennesimo “combattimento” con l’ostinazione della giovane etiope, né il coraggio di respingere ancora la sua tenace dedizione, per cui – forse solo con un gesto – accolse nel suo giaciglio la tremante Kadija.

Fu quella, la sua unica “battaglia” persa.

 

 

Bibliografia

V. Dan Segre, La guerra privata del tenente Guillet. La resistenza italiana in Eritrea durante la Seconda Guerra Mondiale, Milano, 1993.
     S. O’Kelly, Amedeo. Vita, avventure e amori di Amedeo Guillet un eroe italiano in Africa Orientale, Milano, 2002.
     U. Piernoli, Dalle Ambe al Sim. Amedeo Guillet, una vita per l’Italia, Roma, 2018.