
Riaffiora a Napoli riaffiora un frammento dimenticato della sua storia millenaria: l’acqua “suffregna”, l’antica acqua minerale che un tempo sgorgava generosa dal sottosuolo del Monte Echia, torna finalmente a scorrere.
Dopo oltre cinquant’anni di silenzio, la sorgente del Chiatamone è stata riportata alla luce grazie a un articolato progetto di recupero. Situata nei sotterranei nascosti dietro gli alberghi di Santa Lucia, la fonte sembrava perduta dagli anni Settanta, ma oggi è di nuovo attiva, raccolta e convogliata attraverso una nuova rete di tubature.
La riattivazione è frutto del lavoro congiunto di ABC Napoli, l’Azienda Speciale per l’Acqua Pubblica, insieme a una fitta rete di comitati civici e associazioni locali, tra cui Hydrosòphia, il Comitato Santa Maria di Portosalvo, il Laboratorio Architettura Nomade e l’Associazione Mondo Scuola. Un percorso durato più di quattro anni, sviluppato anche in sinergia con l’Ufficio Patrimonio del Comune e con la Sovrintendenza ai Beni Architettonici, Ambientali e Archeologici.
La sorgente, chiusa nel 1973 con il pretesto di un presunto rischio sanitario legato al colera, era stata progressivamente abbandonata. Un accesso pubblico che garantiva il diritto collettivo all’acqua, inciso su una lapide voluta nel 1731 da Carlo VI, venne ignorato mentre la zona veniva privatizzata e sottratta alla fruizione popolare. Il tutto in un clima di tensioni tra cittadinanza e autorità che risale già all’Unità d’Italia, quando la gestione dell’acqua passò sempre più in mano a interessi privati, soprattutto legati al turismo termale.
Storicamente, l’acqua suffregna è stata definita “ferrata”, per il suo sapore metallico e le sue proprietà salutari. Tuttavia, alcuni studiosi ipotizzano oggi che tale denominazione possa essere frutto di un errore popolare, e che in realtà la sorgente fosse di natura sulfurea, come altre presenti nel territorio napoletano, note per l’odore caratteristico e l’aspetto opalescente. La confusione tra acque ferrate e sulfuree, specie in una città dalla ricca geologia come Napoli, non è nuova. Le acque sulfuree, come quella dei Pisciarelli a Agnano o delle Terme di via Terracina, erano celebri per usi terapeutici e ancora oggi vengono studiate per le loro proprietà.
Nel centro cittadino, esistevano diverse sorgenti: quella del Chiatamone, oggi riattivata, era affiancata da fonti come quella del Fontaniello, oggi scomparsa, e da altri punti d’acqua minore, ognuno con caratteristiche minerali specifiche. La zona di Monte Echia in particolare, con le sue numerose cavità naturali, ha ospitato per secoli fonti che sgorgavano spontaneamente dalle rocce tufacee, talvolta impiegate per la produzione di bevande o per l’uso termale.
Tradizionalmente, l’acqua suffregna veniva bevuta direttamente sul posto, conservata nelle “mummarelle”, le anfore tradizionali di terracotta, poiché il suo contenuto minerale non ne consente l’imbottigliamento convenzionale. Antonio Pariante, del Comitato Portosalvo, racconta che un gruppo di studio lavora da tempo per ottenere il riconoscimento UNESCO per le antiche sorgenti napoletane, tra cui quella del Chiatamone. Un obiettivo che punta a tutelare non solo un’acqua dalle qualità uniche, ma anche il contesto urbano e culturale in cui nasce.
Il costone tufaceo di Monte Echia, che ospita numerose grotte di origine preistorica, fu culla di antichi insediamenti come Partenope e Palepoli, molto prima che sorgesse la Napoli che conosciamo oggi. Qui, da millenni, l’acqua affiora tra le rocce, testimone silenziosa di civiltà che si sono succedute nel tempo. La recente visita guidata al sito, aperta al pubblico nell’ambito del progetto di valorizzazione ambientale e culturale, ha mostrato come il luogo stia tornando a vivere.
Il ritorno dell’acqua suffregna non è solo una riscoperta archeologica: è un’azione politica, culturale e sociale. Riappropriarsi di una sorgente è anche riappropriarsi di un’identità. Napoli dimostra così che la memoria non è mai definitivamente sepolta, e che il suo patrimonio naturale e umano può ancora rinascere, goccia dopo goccia.