Stellantis “riorganizza”: cresce l’ansia tra le famiglie operaie, preoccupate per il futuro occupazionale

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Pomigliano d’Arco (Na), Avellino (Pianodardine) in prossimità di Pratola Serra, Atessa (Ch). Tre nomi che oggi suonano come campanelli d’allarme per centinaia di famiglie.

La multinazionale Stellantis ha annunciato una nuova fase di riorganizzazione dei propri impianti italiani che, sebbene presentata come una strategia per il ricambio generazionale, suscita forte preoccupazione tra i lavoratori e le loro famiglie, che intravedono un futuro sempre più incerto.

Secondo quanto comunicato dalla casa automobilistica, saranno 300 gli operai in uscita volontaria dallo stabilimento campano di Pomigliano e 50 quelli da Pratola Serra, in provincia di Avellino. A questi si aggiungono due settimane di cassa integrazione programmate per la fabbrica abruzzese di Atessa.
Ufficialmente, si tratta di un accompagnamento alla pensione per i dipendenti con maggiore anzianità, un piano condiviso con le sigle sindacali, secondo quanto afferma l’azienda.

Il piano Stellantis: giovani in entrata, ma le famiglie restano in allerta

La riorganizzazione rientra nel “Piano per l’Italia” presentato lo scorso dicembre al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e ribadito in Parlamento a marzo. Al centro della strategia: competitività, innovazione e modernizzazione degli impianti. Un processo che, sulla carta, dovrebbe puntare anche su nuove assunzioni e sul rilancio tecnologico del settore automotive.

Nel dettaglio, Stellantis ha annunciato l’assunzione di 114 giovani, ex lavoratori interinali, che verranno stabilizzati nello stabilimento di Atessa. Con un’età media di 31 anni, rappresentano la faccia nuova del futuro dell’azienda. In parallelo, altri 117 giovani ingegneri entreranno a far parte del polo di Torino, impegnati in progetti strategici su digitalizzazione, intelligenza artificiale e mobilità elettrica.

Sindacati sul piede di guerra: “Non basta qualche giovane per salvare il lavoro”

Ma non tutti condividono l’ottimismo dell’azienda. In particolare, la Fiom-Cgil ha espresso il proprio dissenso rispetto alle modalità con cui si sta attuando la riorganizzazione. “Non abbiamo firmato l’accordo sulle uscite volontarie”, ha dichiarato il sindacato in una nota, “perché non c’è alcun segnale concreto di inversione di tendenza in termini occupazionali”.

Secondo la Fiom, il piano non garantisce un vero turnover, né introduce sufficienti misure strutturali per salvaguardare i posti di lavoro esistenti. “I giovani assunti sono una goccia nel mare. Serve un progetto solido, di lungo respiro, che non lasci indietro nessuno”.

Incertezza e timori: le famiglie chiedono risposte

Tra chi lavora negli stabilimenti interessati, cresce l’apprensione. Se da un lato il ricambio generazionale può apparire come un segnale di vitalità, dall’altro la mancanza di certezze sul futuro e di assunzioni stabili preoccupa chi, da anni, vede le fabbriche italiane perdere pezzi. Le famiglie, già provate da anni di ristrutturazioni e crisi industriali, chiedono garanzie: non solo sulla quantità dei posti di lavoro, ma sulla qualità, sulla durata e sulla prospettiva di una stabilità duratura.

In un contesto economico in continua evoluzione, dove il settore automotive è attraversato da transizioni epocali e la politica di Trump sui dazi sta creando ulteriori perturnaszioni, i lavoratori non si accontentano di annunci. Vogliono fatti. E soprattutto, vogliono non essere dimenticati.