
Le seguenti riflessioni – condivisibili o meno – nascono dall’aver ascoltato, involontariamente, una discussione alla cassa di un supermercato, tra due giovani di cui uno propenso alla guerra e l’altro decisamente obiettore di coscienza.
La questione è complessa e comprende anche il rischio di essere strumentalizzati da persone senza nessuna etica, che chiaramente considera il popolo come pecore, senza pensiero, senza coscienza e senza diritti, sacrificabili per le loro convinzioni personali o per assecondare i loro deliri da onnipotenza.
I cittadini moderni sono persone pensanti e un cristiano vero, un idealista o un filosofo, che abbia idee e valori che mettano al primo posto la dignità e la sacralità della persona umana e della riflessione etica, non può accettare di essere costretto a combattere in guerra, a uccidere altri uomini, a rischiare la propria vita e a sacrificare il proprio progetto di vita per una causa e con i mezzi che non condivide .
L’uso della forza e delle armi, quando non difensivo o necessario per la sopravvivenza, diventa un meccanismo disumanizzante, in cui individui pensanti e dotati di profonde convinzioni morali possono rifiutarsi di cadere.
È inaccettabile che un uomo di fede, di pensiero o di principi venga precettato o costretto con mezzi coercitivi a diventare uno strumento di violenza, violando la propria coscienza e il comandamento divino “Non uccidere”.
Ancora più grave è il ricorso alla manipolazione dell’opinione pubblica attraverso narrazioni strumentalizzanti, che trasformano il dissenso in tradimento e santificano il sacrificio dei più deboli mentre i potenti restano al sicuro a godersi i loro privilegi
Troppo spesso, infatti, la storia ci ha mostrato governanti e dittatori che praticano il cinico principio del cosiddetto “armiamoci e partite”, mandando a morire giovani uomini mentre loro e i loro figli se ne restano al sicuro, lontani dai pericoli del fronte.
Questi leader, che si presentano come guide della nazione, si rivelano in realtà nemici più insidiosi di quelli esterni, poiché sacrificano i propri cittadini per mantenere il potere, senza mai esporsi in prima persona.
Se costoro davvero credono nella necessità della guerra – diceva il ragazzo obiettore nel supermercato – dimostrino il loro coraggio e la loro determinazione con un atto di coerenza: scendano in campo essi stessi.
Seguano l’esempio tramandatici dalla storia e dall’epica.
Facciano come il giovane Davide, pastore e futuro re, affrontò il gigante Golia in un duello singolo, risolvendo il conflitto tra Israeliti e Filistei senza coinvolgere un’intera popolazione in uno spargimento di sangue.
O come, nell’Iliade, fecero Achille ed Ettore, che combatterono un duello decisivo, determinando il destino della guerra di Troia attraverso il coraggio personale invece di una carneficina indiscriminata.
Altri esempi sono quello di Francesco I di Francia e Carlo V del Sacro Romano Impero che, nel Rinascimento, furono sul punto di sfidarsi in un duello per risolvere le loro dispute territoriali, un gesto che, se realizzato, avrebbe potuto evitare scontri su larga scala, e quello – nella leggenda romana – dei fratelli Orazi e Curiazi, che si affrontarono per risparmiare alle loro città una guerra sanguinosa, mostrando che il sacrificio di pochi poteva prevenire la distruzione di molti.
I governanti che promuovono la guerra abbiano dunque il coraggio di difendere le loro cause e i loro deliri in prima persona. Solo chi è disposto a rischiare la propria vita per la guerra che proclama può avere l’autorità morale di chiedere ad altri di combattere. E smettano di strumentalizzare chi crede nei valori della pace e della giustizia, e si adoperino a cercare cercare piuttosto soluzioni che preservino la dignità e la vita di ogni essere umano.
L’obiezione di coscienza è un tema di grande rilevanza, soprattutto in paesi come l’Italia. La Costituzione Italiana, infatti, all’articolo 11, dichiara che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali“.
Questo principio non impedisce la presenza di un esercito o la partecipazione a operazioni militari internazionali (in quanto l’Italia può essere coinvolta in missioni di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite o in operazioni di difesa collettiva in accordo con alleanze internazionali come la NATO) ma considera chiaramente la guerra un’anacronistica barbarie.
In Italia, il diritto all’obiezione di coscienza è stato riconosciuto e tutelato già a partire dalla legge n. 772 del 15 dicembre 1972, che ha introdotto la possibilità per i cittadini di svolgere un servizio civile alternativo al servizio militare.
Questo diritto è stato successivamente rafforzato dalla legge n. 230 dell’8 luglio 1998, che ha stabilito l’obiezione di coscienza come un diritto fondamentale della persona.
E la Corte Costituzionale italiana ha ribadito più volte l’importanza di questo diritto. Ad esempio, nella sentenza n. 164 del 1985, la Corte ha affermato che l’obiezione di coscienza è un diritto costituzionalmente garantito e che il legislatore deve prevedere forme alternative di servizio per coloro che si oppongono al servizio militare per motivi di coscienza.
A livello comunitario, l’obiezione di coscienza è riconosciuta e tutelata in vari modi. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’articolo 10, afferma che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione“. Questo include il diritto all’obiezione di coscienza.
Inoltre, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affrontato diverse volte il tema dell’obiezione di coscienza, riconoscendo la sua importanza.
Un esempio significativo è la sentenza Bayatyan contro Armenia del 2011, in cui la Corte ha riconosciuto che il rifiuto di prestare servizio militare per motivi di coscienza rientra nella protezione della libertà di pensiero, coscienza e religione garantita dall’articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Da quanto sopra esposto, è evidente come il diritto all’obiezione di coscienza sia ben radicato sia nella legislazione italiana che nei principi e sentenze a livello europeo.
Questo diritto non solo tutela la libertà di pensiero e coscienza dei cittadini, ma rappresenta anche un pilastro fondamentale dei diritti umani.
Pertanto, l’idea che un governante possa obbligare un libero cittadino a partecipare a conflitti armati contro la sua volontà è in contrasto con i principi costituzionali e i diritti fondamentali riconosciuti a livello nazionale e comunitario.
Bibliografia e riferimenti:
Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 11.
Legge n. 772 del 15 dicembre 1972.
Legge n. 230 dell’8 luglio 1998.
Sentenza della Corte Costituzionale Italiana n. 164 del 1985.
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Art. 10.
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, Art. 9.
Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Bayatyan contro Armenia, 2011.
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