Scienza della Fortuna: come le emozioni influenzano ciò che vediamo e otteniamo.

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Per secoli, la fortuna è stata considerata una questione di sorte, destino o provvidenza. Ma secondo la psicologia moderna, la “fortuna” potrebbe essere anche una questione di atteggiamento, attenzione selettiva e flessibilità cognitiva. Non è magia, ma scienza.

Il punto di partenza è uno studio ormai celebre dello psicologo britannico Richard Wiseman, autore di The Luck Factor (2003). In una serie di esperimenti, Wiseman ha cercato di capire perché alcune persone si definiscono “fortunate” e altre no. Il risultato? Le persone fortunate non sono semplicemente baciate dalla sorte: sono diverse nel modo in cui guardano il mondo.

Uno degli esperimenti più noti condotti da Wiseman prevedeva la lettura di un quotidiano. Ai partecipanti veniva chiesto di contare il numero di fotografie presenti. All’interno del giornale, però, era nascosto un messaggio ben visibile: “Di’ allo sperimentatore che hai visto questo messaggio e vinci 250 sterline.”
I partecipanti che si consideravano “fortunati” notavano il messaggio molto più frequentemente rispetto a quelli che si consideravano “sfortunati”.

La spiegazione? I primi erano più rilassati, meno rigidi e più aperti agli stimoli. I secondi, al contrario, erano tesi, iperfocalizzati sull’obiettivo (contare le foto) e meno capaci di cogliere informazioni inattese. Questo fenomeno è coerente con quanto si sa sull’attenzione selettiva: vediamo ciò che ci aspettiamo di vedere, e spesso perdiamo opportunità solo perché non le stavamo cercando.

A confermare questi dati arriva anche la ricerca della psicologa americana Barbara Fredrickson, nota per la sua broaden-and-build theory (2001). Secondo questa teoria, le emozioni positive — come gioia, interesse, speranza — hanno un effetto espansivo sulla mente umana. In altre parole, quando proviamo emozioni positive, il nostro campo percettivo e cognitivo si allarga: vediamo più alternative, elaboriamo più stimoli, siamo più creativi e reattivi.

Al contrario, le emozioni negative — come paura e rabbia — restringono il campo dell’attenzione e della memoria. Questo ha una funzione adattiva nei contesti di pericolo, ma nella vita quotidiana può portarci a perdere occasioni semplicemente perché siamo chiusi nella nostra visione pessimistica.

 

Fortuna o predisposizione?

L’elemento interessante è che, in entrambi i casi, la “fortuna” non è vista come qualcosa di esterno o sovrannaturale, ma come una conseguenza di atteggiamenti mentali. Le persone fortunate:

  • Si aspettano che accadano cose buone;
  • Prestano attenzione all’ambiente circostante;
  • Sono aperte a cambiamenti e sorprese;
  • Si pongono in una condizione emotiva positiva che amplifica le loro capacità cognitive.

Non si tratta quindi di ingenuità o di pensiero magico, ma di un’abilità psicologica legata all’ottimismo realistico e alla regolazione emotiva.

Queste scoperte hanno ricadute pratiche importanti. In ambito clinico, educativo e persino lavorativo, insegnare a modificare il proprio focus attentivo e adottare una prospettiva positiva può aumentare la probabilità di successo, benessere e soddisfazione. Interventi basati sulla psicologia positiva (gratitudine, mindfulness, journaling delle emozioni positive) hanno mostrato effetti benefici proprio perché agiscono su questi meccanismi.

In sintesi, ciò che chiamiamo “fortuna” è spesso il risultato invisibile di un sistema complesso di atteggiamenti, emozioni e strategie cognitive. Cambiare sguardo può significare cambiare risultati.

(Antonio De Rosa)

 

Fonti:

Wiseman, R. (2004). The luck factor. Random House.
Fredrickson, B. L. (2001). The role of positive emotions in positive psychology: The broaden-and-build theory of positive emotions. American psychologist56(3), 218.
Fredrickson, B. L., & Joiner, T. (2002). Positive emotions trigger upward spirals toward emotional well-being. Psychological science13(2), 172-175.


 

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