
Un attacco a sorpresa scuote il Medio Oriente: nella notte tra il 21 e il 22 giugno, gli Stati Uniti hanno condotto un’offensiva aerea di portata inedita contro i siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz ed Esfahan. L’operazione, annunciata direttamente dall’ex presidente Donald Trump, segna un salto di tensione in una regione già instabile e fa tremare gli equilibri geopolitici globali.
Il Pentagono ha confermato che l’attacco ha impiegato 6 bombe “bunker buster” GBU-57/B Massive Ordnance Penetrator, ciascuna del peso di circa 13,6 tonnellate. Progettate per perforare bunker sotterranei rinforzati fino a 60 metri di profondità, queste armi sono tra le più potenti convenzionali dell’arsenale americano. I missili sono stati caricati a bordo dei bombardieri strategici B-2 Spirit, unici velivoli capaci di eludere le difese radar e trasportare munizionamento così pesante.
Secondo fonti militari statunitensi, i B-2 sono decollati dalla base di Whiteman, nel Missouri, hanno effettuato rifornimenti in volo nei pressi dell’isola di Guam e hanno raggiunto lo spazio aereo iraniano sotto copertura notturna. L’operazione è stata condotta in stretto coordinamento con le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e l’aviazione israeliana (IAF), che avrebbero fornito supporto tattico e dati di intelligence sul posizionamento dei bersagli.
Nonostante la durezza dell’attacco, al momento non risultano fuoriuscite radioattive né danni ambientali significativi. Le strutture colpite, tra cui silos e laboratori sotterranei, sarebbero state neutralizzate senza dispersione di materiale nucleare, evitando almeno per ora una catastrofe umanitaria.
Trump, in un messaggio pubblicato e poi rimosso dalla sua piattaforma Truth Social, ha scritto: “Fordow è andata. Missione compiuta”. Ma se il tono è trionfalistico, le implicazioni geopolitiche sono tutt’altro che rassicuranti.
I media di Teheran definiscono l’operazione come un’aggressione diretta, un atto di guerra che non resterà senza risposta. L’Iran ha già mobilitato le sue forze armate lungo i confini e avverte che ogni ulteriore provocazione riceverà una risposta “immediata e devastante”.
Nel frattempo, cresce l’allarme per possibili ritorsioni sotto forma di attacchi terroristici contro obiettivi occidentali. Esperti di sicurezza internazionale temono che cellule jihadiste o milizie filo-iraniane possano attivarsi in diverse aree sensibili, dall’Iraq al Libano, fino all’Europa e agli Stati Uniti stessi.
Il rischio è quello di una recrudescenza globale del terrorismo, alimentata dal risentimento e dalla radicalizzazione crescente.
In Europa, intanto, si intensifica il dibattito sulla necessità del riarmo. Da una parte, c’è chi continua ad affidarsi alla diplomazia e al buon senso degli attori globali; dall’altra, cresce il fronte di chi ritiene che l’unica vera garanzia per evitare un coinvolgimento diretto – anche per l’Italia – sia una deterrenza credibile e modernizzata.
Alcuni governi stanno già riconsiderando le spese militari e le strategie di difesa.
Una cosa appare ormai evidente: l’equilibrio mondiale è cambiato. È già la terza guerra mondiale? Manca solo che entrino direttamente in scena Europa e Cina. In questo clima di incertezza, instabilità e scelte drammatiche, la vera domanda che serpeggia tra osservatori e cittadini è: chi sta davvero guidando – e chi sta provocando – questa pericolosa e forse irreversibile escalation? E quali sono i veri motivi?