Giornata Internazionale della Medicina di Emergenza e Urgenza: un viaggio tra dedizione degli operatori e aggressioni ingiustificate

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Là dove ogni secondo può decidere tra la vita e la morte, dove l’urgenza è l’unica regola e l’imprevisto è la norma, oggi si celebra la Giornata Internazionale della Medicina di Emergenza e Urgenza. Una ricorrenza che, lungi dall’essere solo celebrativa, si trasforma in un grido collettivo che attraversa i reparti di pronto soccorso di tutto il mondo, portando alla luce le contraddizioni, le emergenze e le fatiche quotidiane di chi, in camice, affronta il caos per salvare vite.

Medici, infermieri, operatori del 118: sono loro il primo baluardo quando il dolore irrompe all’improvviso. L’infarto, l’incidente stradale, la crisi respiratoria, l’aggressione: scenari differenti che convergono tutti in un’unica trincea, quella dell’emergenza-urgenza, dove non si fanno turni, ma maratone. La medicina d’urgenza non conosce orari, festività o differenze. È un presidio permanente che si regge sul senso del dovere, sulla formazione continua e sulla resilienza umana, spesso spinta fino al limite.

Ma se da una parte c’è la dedizione, dall’altra cresce una minaccia sempre più intollerabile: la violenza contro il personale sanitario. Un fenomeno in aumento costante, silenzioso quanto devastante, che negli ultimi anni si è trasformato in una vera e propria emergenza sociale. I dati parlano chiaro: migliaia gli episodi ogni anno in Italia, con aggressioni verbali, fisiche, minacce e intimidazioni che lasciano segni non solo sulla pelle, ma anche sulla psiche degli operatori.

A rendere il quadro ancora più allarmante è il fatto che le violenze non avvengono in contesti isolati, ma spesso all’interno delle strutture ospedaliere, nei pronto soccorso sovraffollati, nei corridoi in cui l’attesa si somma al dolore e alla frustrazione. E così, chi è lì per curare diventa il bersaglio. Un paradosso drammatico: si aggredisce chi salva.

Il pronto soccorso di oggi non è solo il teatro dell’urgenza clinica, ma anche di un’escalation di intolleranza e tensione che rispecchia il malessere più profondo della società. L’aggressività nei confronti del personale sanitario non è solo un problema di sicurezza: è un indicatore preoccupante dello sfaldamento del patto di fiducia tra cittadino e sistema sanitario. Eppure, proprio quel patto è ciò che tiene insieme la sanità pubblica.

La medicina di emergenza vive una doppia battaglia. La prima, contro il tempo, la malattia, la morte. La seconda, contro l’incomprensione, l’abbandono istituzionale, la paura. In molti reparti si lavora sotto organico, con carichi di lavoro insostenibili, mentre aumentano i codici rossi non clinici, quelli delle urgenze sociali, dell’indigenza, dell’isolamento. Il pronto soccorso diventa rifugio, sfogo, sportello sociale di ultima istanza, con un prezzo altissimo pagato da chi vi opera.

La Giornata Internazionale della Medicina di Emergenza e Urgenza dovrebbe servire anche a questo: a restituire dignità, voce e protezione a una categoria che troppo spesso viene considerata scontata, finché non se ne ha bisogno. Perché dietro ogni rianimazione c’è una storia umana, una scelta difficile, un sacrificio personale. Non è solo medicina: è vocazione, è missione, è coraggio.

Servono azioni concrete. Servono investimenti, assunzioni, formazione specifica per la gestione del rischio di aggressione. Ma soprattutto serve una rivoluzione culturale, che restituisca rispetto e riconoscimento a chi presta soccorso. Serve che la società smetta di voltarsi dall’altra parte, ogni volta che un operatore sanitario viene aggredito in silenzio.

Il pronto soccorso è il termometro della sanità pubblica. E oggi, quel termometro segna febbre alta. Non basta un giorno all’anno per ricordarsene. Serve un impegno quotidiano, collettivo, strutturale. Perché se si lascia solo chi salva, è l’intero sistema a vacillare. E con esso, la nostra umanità.