HIKIKOMORI, ovvero l’autoreclusione come forma di rifiuto sociale.

Cliccare sui pulsanti sotto per condividere. GRAZIE !

“Hikikomori” deriva dalla fusione di due termini giapponesi: “Hiku” (tirare) e “Komoru” (ritirarsi, rinchiudersi) e può essere tradotto con “stare in disparte, isolarsi”. Con questo termine si indica una persona che ha scelto di sottrarsi fisicamente alle interazioni sociali, preferendo rimanere nella sua stanza e rinunciando persino alla frequenza scolastica e ai rapporti sociali “in presenza”.

Il fenomeno, che ha cominciato a diffondersi in Giappone a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, si è poi diffuso negli anni duemila anche negli USA e in Europa, e si è aggravato negli anni della pandemia.

Negli Stati Uniti, i giovani adulti che ancora vivono nella casa dei genitori e che non desiderano emanciparsi dalla famiglia vengono chiamati anche “Adultoscelent”. In Inghilterra, invece, per indicare un giovane apatico e senza alcun interesse, viene usato il termine “NEET” (Not in Employment, Education or Training).

Gli studi hanno evidenziato che il fenomeno Hikikomori può avere molteplici cause, che dipendono sia da fattori di carattere individuale (come esperienze traumatiche precoci, ad esempio un abuso, o una personalità introversa) che dal contesto in cui si vive (ad esempio, un padre assente o una madre iperprotettiva; basso rendimento scolastico combinato con aspettative alte, ecc…). Sembra, comunque, che la famiglia e la scuola abbiano un ruolo decisivo nell’insorgenza di questo disturbo.

In effetti, l’abbandono scolastico, o del lavoro, è spesso la prima manifestazione di questa condizione e, a volte, può essere la conseguenza di un episodio di bullismo, di mobbing o di un basso rendimento che non soddisfa le aspettative della famiglia o della società.

Dal punto di vista dei fattori soggettivi, i ragazzi e i giovani adulti che sperimentano ansia sociale, sono maggiormente predisposti all’Hikikomori, perché hanno più difficoltà a relazionarsi con i coetanei e ad adattarsi alla società in cui vivono. Inoltre, la coesistenza di molteplici fattori di rischio a livello individuale e contestuale accresce il numero degli ambiti in cui i ragazzi incontrano difficoltà, portandoli a una crescente demotivazione nei rapporti con il mondo esterno, fino a un reale rifiuto dello stesso.

I dati statistici indicano che questa sindrome colpisce più frequentemente il sesso maschile, a una età compresa tra i 18 e i 27 anni e, spesso, il figlio maggiore di una famiglia di livello socioeconomico medio-alto. Studi recenti hanno però evidenziato un aumento del disturbo in soggetti più adulti, di età compresa tra i 30 e i 40 anni.

Nonostante non esistano ancora una definizione né una diagnosi ufficiale di questa sindrome nel DSM-5, il Ministero della salute Giapponese (MHLW) ha però stabilito che la condizione necessaria affinché venga diagnosticato l’Hikikomori è rappresentata da un periodo di isolamento sociale di almeno 6 mesi, di assenza totale da ogni attività scolastica o lavorativa, senza alcuna relazione al di fuori della famiglia.

In effetti, le statistiche indicano che il periodo medio di isolamento sociale è di circa 39 mesi, ma che può variare da pochi mesi a parecchi anni (Saito, 1998). Inoltre, i dati parlano di 100.000 casi di Hikikomori tra giovani e giovani adulti italiani!

In Italia non si è ancora formata una consistente “generazione di Hikikomori”, formata cioè da soggetti che abbiano protratto l’autoreclusione volontaria per un periodo superiore ai dieci anni, ma i casi sono in rapido e preoccupante aumento.

Questi numeri, presumibilmente molto sottostimati, richiedono la messa in atto di opportune misure di monitoraggio, diagnosi e supporto psicologico e terapeutico.

A livello cognitivo e comportamentale il soggetto mette in essere una vera e propria strategia di evitamento di tutte quelle situazioni che gli provocano (o che egli teme che gli possano provocare) stress o paura, al quale egli reagisce con il rifiuto di affrontare i problemi e conseguente ritiro in un luogo che trasmette protezione: la propria camera. Di conseguenza, la reclusione volontaria viene considerata come l’unica soluzione possibile per evitare sofferenza psicologica (in alcuni casi, si giunge fino alla paura della paura) o come l’unico comportamento a disposizione per esprimere il proprio dissenso e disagio verso una realtà quotidiana soffocante. Infine, non sono da escludere possibili spiegazioni socioculturali: ad esempio, l’urbanizzazione, l’enorme progresso tecnologico, l’avvento dei computer e di internet (con chat e social net-work), che hanno causato enormi cambiamenti nella comunicazione tra le persone.

Concause dell’instaurarsi della condizione “Hikikomori” possono essere ricercate anche nei rapporti problematici con i genitori, che potrebbero essere o troppo incentivanti, senza rispettare le necessità e i disagi del ragazzo, o iperprotettivi (genitori spazzaneve). «Togliendo ai ragazzi la possibilità di sviluppare le competenze necessarie per transitare all’età adulta – specifica il dottor Crepaldi –, proteggendoli eccessivamente e impedendo loro di compiere errori, di fatto li si porta al fallimento di uno step evolutivo. I ragazzi Hikikomori sono eterni adolescenti che hanno un rapporto conflittuale con i genitori da cui sono dipendenti, ma che allo stesso modo trattano male, alle volte usando contro di loro violenza verbale e fisica».

Il percorso terapeutico, che può durare da pochi mesi a diversi anni, deve essere preceduto da uno studio attento dei singoli casi e dalla decisione, maturata in base ai dati oggettivi, di trattare la condizione patologica come un disturbo mentale (con sedute di psicoterapia ed eventuale somministrazione di psicofarmaci) oppure come problema di socializzazione.