Blackout nella penisola iberica: il focus si sposta su un imprevedibile e gradevole “effetto collaterale”

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Lo scorso 28 aprile, dalle 12:30 fino a tarda sera—oltre cinque ore di “buio” totale—treni e metropolitane si sono fermate, internet è andato in crash e persino i frigoriferi hanno smesso di ronzare.
In un primo momento si è temuto il peggio: attacco informatico? Crollo della rete europea? Flair solari? Attacco Attacco EMP (Electro Magnetic Pulse)?.
Niete di tutto questo: alla fine, i tecnici di Red Eléctrica e dei gestori portoghesi non hanno rintracciato alcun hack, ma ipotizzano un’oscillazione di carico tale da far cedere 15 gigawatt all’istante, pari al 60% della domanda nazionale.
Il governo di Madrid ha subito istituito una commissione di inchiesta, invitando tutti gli operatori energetici a fare chiarezza sui protocolli di sicurezza e ripristino.

Ma c’è un curioso paradosso in questa imprevedibile crisi tecnologica: quando la corrente è venuta meno, si è riaccesa una scintilla più importante di qualsiasi lampadina: il blackout, come effetto collaterale, ha costretto milioni di persone a fermarsi e – sorpresa – a guardarsi negli occhi anziché sullo schermo. È successo nel pieno giorno, lasciando al buio non solo luci e semafori, ma per un istante intere generazioni digitali

Subito dopo il primo sussulto di paura, è arrivato il silenzio: niente vibrazioni di smartphone né notifiche continue, solo il battito dei cuori, quello reale. Le batterie hanno ceduto e, con esse, l’illusione di essere sempre “connessi”. In migliaia hanno scoperto che quel fastidioso sfarfallio di bacheche e feed aveva dopotutto un valore: era uno schermo dietro al quale rifugiarsi, ritardando l’incontro con l’altro.

Il blackout ha spinto tutti a uscire sui balconi, in piazza, sui binari. Chiaramente non si è trattato di un rituale premeditato, ma il risultato richiama da vicino il concetto di “effervescenza collettiva” teorizzato da Émile Durkheim: quando una comunità si ritrova in uno stato di emergenza condivisa, nasce una forte energia sociale che unifica e trasforma il gruppo in qualcosa di più grande della semplice somma degli individui. Così è stato: chitarre, colori, libri, canti improvvisati sui marciapiedi, una vera e propria celebrazione del momento presente.

Da un punto di vista psicologico, quello che abbiamo visto è la brillante applicazione pratica della “belongingness hypothesis” di Baumeister e Leary: il bisogno di appartenenza è una motivazione umana fondamentale, che si manifesta nella ricerca di interazioni frequenti, piacevoli e sostenute da un sentimento di sicurezza reciproca. Quando la tecnologia si è spenta, quel bisogno è emerso spontaneamente, dimostrando che la connessione più forte non passa mai da un cavo.

E in questo si nascondono preziose lezioni di wellness. La scienza conferma che il cosiddetto digital detox – pause intenzionali dal telefono e dai social – abbassa ansia e stress, migliora la qualità delle relazioni offline e promuove un senso di benessere globale.
Non serve un’emergenza nazionale di cinque ore: bastano piccoli rituali quotidiani, come un’ora senza schermo dopo il lavoro, per riscoprire il piacere di una conversazione senza interruzioni.

La fotografia che resta di questa esperienza non è fatta di follower e like, ma di sorrisi veri, di mani strette senza filtri. Forse la parola “connessione” va riscritta, sostituendo i bit con il battito cardiaco. È un invito a ricordare che non siamo reti di dati, ma esseri sociali che traggono nutrimento dallo sguardo, dal contatto, dal dialogo autentico.

Oggi, tornati a scuole, uffici e metropolitane, i cellulari hanno ripreso a vibrare. Ma qualcuno avrà ancora impresso nella memoria quella parentesi di umanità pura, un regalo inatteso caduto con la corrente.

Non aspettiamo il prossimo blackout: possiamo coltivare fin da ora piccoli gesti di presenza, riscoprendo quotidianamente la luce che nasce dalle nostre relazioni, non dallo schermo che la proietta.

 


 

 

Il “blackout” in Spagna e Portogallo ha creato disagi e preoccupazioni associate a EMP, hacker e tempeste solari.