Con mio notevole stupore, qualche giorno fa un amico mi ha mostrato sul suo telefonino la foto di una scolaresca di una classe elementare di Sirignano, risalente a parecchi decenni fa, nella quale sono presente anch’io.
Una foto nella quale solo con molta fatica, coloro che l’hanno guardata sono riusciti a riconoscere gli alunni, senza però riuscire a ricostruire esattamente il contesto.
Ecco perché ho deciso di iniziare questi miei Viaggi nel passato proprio partendo da quella foto che – di interesse piuttosto limitato – non è il caso di pubblicare ma di cui ritengo utile precisare almeno che essa raffigura gli alunni della classe terza elementare (secondo la terminologia allora vigente) di Sirignano, con l’ins. Pasquale Postiglione, fotografati nella primavera del 1962, nel salone a piano terra dell’attuale edificio scolastico, entrato in funzione solo pochi mesi prima.
A parte questi pochi dati nudi e crudi, sulla foto in sé non c’è, in realtà, molto altro da aggiungere mentre è, invece, sicuramente più interessante per la platea dei nostri lettori, tornare per qualche attimo nel mondo in cui quei bambini vivevano.
Un mondo incredibilmente diverso da quello odierno, al quale, un paio di decenni fa, ho dedicato un mio testo di carattere memorialistico, pubblicato nel volume La Città del Baianese di Benedetta Napolitano e Pellegrino De Rosa e che, qui di seguito (con qualche marginale ritocco) ritengo interessante riproporre.
Sirignano: quando, a febbraio, i prati erano verdi
Intorno al 1960 […] a Sirignano si viveva per alcuni aspetti – forse per molti aspetti – in un’altra epoca. Non c’era l’opulenza che c’è oggi, ma c’era sicuramente una maggiore serenità ed una vita forse più a misura d’uomo, in una natura ancora pressoché incontaminata. I televisori e i telefoni si contavano sulle dita di una sola mano e molti bambini, d’estate, giravano scalzi, ma in compenso si poteva uscire tranquillamente di casa socchiudendo appena la porta e, a febbraio, il cuore poteva gioire nell’intenso verde dei prati che, prima dell’era dei diserbanti, coprivano le campagne dando, con il profumo delle viole mammole, il primo sentore dell’imminente risveglio primaverile.
Un altro piccolo ma preciso e significativo aspetto della sostanziale diversità fra la vita di allora e quella di oggi era poi costituito dal carretto, neppure tanto grande, che intorno al 1960 era sufficiente a raccogliere la spazzatura dell’intero paese. Oggi sarebbe naturalmente impensabile, ma [… all’epoca] a tenere pulito il paese bastavano il buon Peppe, il suo paziente somaro e il suo modesto carretto. Quel carretto che oggi pochissimi ricordano e che fu l’involontario strumento di un piccolo ma importante e decisivo passo avanti della vita civile di Sirignano.
Avevo all’epoca otto/nove anni e ricordo abbastanza distintamente ciò che avvenne, ma prima di raccontare i fatti, è tuttavia opportuno dare uno sguardo ad un aspetto particolare della Sirignano di allora.
Come moltissimi altri paesini dell’Irpinia e del meridione, Sirignano non disponeva di un edificio scolastico, sicché le cinque classi dell’unica sezione della scuola elementare, nonché la scuola materna, erano sparse nell’intero paese, in locali appositamente locati del Comune.
La scuola materna statale, istituita negli anni ’50, era ospitata in tre locali di una bella ed ariosa casa in via Giuseppe Sgambati, alla quale si accedeva – e si accede tuttora – attraverso l’ultimo portone a destra, prima dell’arco dal quale iniziava la strada di campagna verso Baiano. Dei tre vani, uno era situato a piano terra ed ospitava la cucina, mentre gli altri due erano al primo piano e fungevano l’uno da aula e l’altro da alloggio per la maestra. In uno sgabuzzino attiguo all’aula c’erano addirittura i servizi igienici, che all’epoca – come dirò tra breve – erano completamente assenti nei locali che ospitavano le classi elementari e costituivano ancora un lusso [di cui erano prive] molte abitazioni private di Sirignano.
Poco distante dall’asilo infantile c’era la prima classe elementare, sistemata in un enorme stanzone al primo piano, in un vasto cortile al quale si accedeva attraverso un bellissimo ed antico portone […]. Come le restanti aule, sparse per il paese, lo stanzone era completamente privo di servizi igienici ed aveva come unico mezzo di riscaldamento un bel braciere, col quale nel periodo invernale due alunni facevano il giro delle case del vicinato chiedendo un po’ di brace. Non so se alla fine del giro arrivasse in aula ancora qualche brace accesa o soltanto cenere ma, in ogni caso, noi bambini non ce ne accorgevamo ed io non ricordo di aver mai sentito freddo in classe.
Le classi seconda e quarta elementare erano le uniche ad essere vicine fra loro, essendo entrambe situate nei due vani terranei del vecchio palazzo municipale in piazza Principessa Rosa, il quale all’epoca non era ancora di proprietà comunale.
[…]
Le classi terza e quinta erano poste in due vani terranei, distanti [… poche] decine di metri l’uno dall’altro, nel quartiere ancora oggi chiamato – dai cinquantenni in su – Capo Casale.
La scuola elementare di Sirignano era, dunque, letteralmente diffusa sul territorio e l’unico elemento che legava in qualche modo le cinque classi era il giro che tutte le sante mattine un alunno di quinta faceva, di classe in classe, per far apporre ai vari insegnanti la firma di presenza su un grosso registro.
[In tale contesto e] in un’epoca in cui il passaggio di un’automobile a Sirignano era, non dico un piccolo avvenimento, ma poco ci mancava, gli alunni sia della scuola materna che di quella elementare andavano e tornavano dalla scuola ovviamente da soli o in compagnia di fratelli e compagni e, quand’era bel tempo, la ricreazione si faceva in piazza Principessa Rosa o in piazza dei Caduti a Capo Casale.
In realtà l’edificio scolastico (quello che oggi [in attesa di essere abbattuto] ospita la scuola elementare e media) a Sirignano c’era. Era stato, infatti, costruito da pochi anni e, benché costituito [come si nota dalla foto] dal solo piano-terra, poteva tranquillamente ospitare le cinque classi elementari per le quali era stato progettato, ma le consuete lungaggini burocratiche ne impedivano la formale consegna al Comune e, com’era già avvenuto proprio in quegli anni nella vicina Quadrelle, lo avrebbero impedito probabilmente ancora per molti anni.
Fu allora che avvenne un piccolo miracolo, oggi assolutamente impossibile, dovuto principalmente alla concretezza ed al pragmatismo di due uomini: l’allora sindaco dr. Michele Acierno, farmacista, e l’allora fiduciario di plesso ins. Pasquale Postiglione, mio indimenticato maestro elementare. Naturalmente non so e non posso descrivere nei dettagli come andarono le cose, chi dei due si mosse per primo o chi dei due ebbe l’idea. Fatto sta che ad un certo punto (non ricordo con precisione ma, probabilmente, durante le vacanze natalizie del 1961 o nei primi mesi del 1962) fu organizzato, sicuramente d’intesa fra il sindaco ed il fiduciario, un vero e proprio blitz, con l’occupazione di fatto e senza tanti preamboli del nuovo edificio, nel quale in fretta e furia furono trasportati cattedre, lavagne e banchi (quei mastodontici banchi di legno a due posti, col buco per il calamaio) utilizzando l’unico mezzo di trasporto del quale disponeva il Comune: il carretto di Peppe lo spazzino.
Fu così che quell’umile strumento di lavoro, prima di scomparire definitivamente qualche anno dopo, ebbe il suo piccolo momento di gloria, consentendo agli scolari di Sirignano di avere una sistemazione dignitosa in una scuola che finalmente poteva chiamarsi tale.
La gioia di noi alunni fu, naturalmente, grande, anche perché nel nuovo edificio, oltre ai servizi igienici e all’acqua corrente, c’era il riscaldamento e c’era un bel salone da attraversare correndo, saltando e … scivolando. Ricordo che nel giardino del nuovo edificio trovammo parecchie strane carriole in metallo di colore azzurro, che la ditta esecutrice dei lavori ancora non aveva provveduto a ritirare e che divennero ben presto lo strumento preferito dei nostri giochi all’entrata e all’uscita dalla scuola.
Di lì a poco fu di nuovo febbraio e i prati ridivennero verdi, come quei nostri indimenticabili anni, lontani e irripetibili.