
Una delle molte fonti storiche relative all’area baianese, meritoriamente riportate alla luce, agli inizi del Novecento, da Antonio Iamalio (Lucera 1856 – Roma 1949) è costituita da alcuni brani di un Libro di memorie della famiglia Foglia di Baiano, contenenti interessantissime notizie, anche di carattere microeconomico, su quanto avvenne a Baiano e dintorni nel corso di tutto il secolo XVIII.
Fra le varie vicende che la fonte mette a fuoco, particolarmente interessante si rivela la descrizione della crisi che nel 1764 tormentò non solo il Baianese ma l’intero Meridione a causa di una delle periodiche carestie e, soprattutto, di una concomitante epidemia.
Di fronte a tale situazione, basata sul classico «circolo vizioso [… in cui] lo scarso raccolto alimentava la paura della fame e spingeva all’incetta ed all’occultamento dei grani» (A. Lepre), il governo borbonico tentò di correre ai ripari vietando le esportazioni, cercando di calmierare i prezzi, ordinando agli amministratori locali di curare la panificazione pubblica ma ogni provvedimento si dimostrò vano, palesando, piuttosto, il sostanziale, il «fallimento dell’Antico Regime napoletano» (P. Macry).
Ciò che in quel periodo avvenne a Baiano e in tutta la baronia di Avella fu – come si è detto – certosinamente registrato nel Libro di memorie di famiglia dal notaio Domenico Antonio Foglia con una serie di annotazioni, nella prima delle quali, in data 6 marzo 1764, si legge: «Nell’anno 1763 in 1764 è stata una penuria grandissima di grano, granodindia, ed ogni altra sorte di vettuaglie e di tutte altre cose, che non si è saputo più da S[ua] M[aestà], come da suoi ministri, che espediente pigliare per quietare il Regno, non ostante che da per tutto si sono fatte tante devozioni, pregando il Signore che ci liberasse; ed anche ora che scrivo, che sono li sei marzo 1764, è arrivato il sacco del grano a Duc[ati] 13 e 14, e non se ne trova a nessuna parte».
Il notaio Foglia descrive, poi, uno dei provvedimenti emanati dal governo e che egli, avendo avuta la «mala fortuna» di essere sorteggiato come «eletto», dovette porre in atto: «è venuto a questa Terra di Bajano uno dispaccio, che si pigliavano i denari da luoghi pii laicali per farne elemosine e comprarne grano, per quando avesse mancato al fornaro della medesima, e per mia mala fortuna uscì a me qui sotto in bussola di due eletti, e il sig. Antonio Candela; che il danaro di esse si fusse speso da noi per fare detta compra di grano per l’Università [= Comune]; e poi il denaro si restituiva ad Agosto di detto anno 1764 a detti luoghi pii; ed ora questo si va in cerca per fare se se ne ritroverà, e per sentir dire dall’antichi, e detti antichi intesi dire dalli più antichi dell’altro secolo, che mai è stata tal penuria di tutti li capi di robba: così piace a Dio! Ora che non appresso venisse peggio, (non sia mai!)».
Nella successiva annotazione del 21 aprile, il notaio Foglia descrive l’avvenuto adempimento della disposizione governativa, precisando: «Si deve sapere che già del denaro ecclesiastico si comprò detto grano alla ragione di Ducati sei e mezzo il tomolo; e poi si diete all’attuale fornaro detto anno per fare il pane per detta Università. E lo pagò l’istesso prezzo, e il danaro si tiene per ora, che sono 21 aprile 1764, dal sig. Antonio Candela, altro benestante obligato con me per detta Università, a tenore dell’Ordine di S. M. (Dio guardi); e sino a detto giorno 21 aprile 1764 è arrivato il sacco di grano a Ducati 21; che viene a Ducati sette il tomolo; essendo scarsezza di tutti i capi di robba, ogni semplice minestra che serve per mia casa, si spende solamente di verduma grana 15 la volta; l’ove arrivate fino a tornesi 3 l’uno, li risi a grana 18 il rotolo, che la matina di Pasca, che è stata a 22 aprile 1764, in casa a pena si mangiò tre cose, con tanta spesa e stenti, sono morti molti di fame, ed altri per aver mangiato cibe selvaggie».
In tale situazione i pochi generi alimentari disponibili divennero, naturalmente, preziosi e, spesso, oggetto di furti, alcuni dei quali furono subiti proprio dal notaio Foglia, che, in proposito, scrive: «Si sono sentite tante mariolicii, e fra l’altro a me ruborno da 4 lesine di sopressate; mi ruborno uno tomolo di grano e da una quadra di fave che stavano dentro la Camera di fronte dalla parte della strada, accosto al portone, dove sta il cellaro. Ebbi alcune notizie, e dalla Corte ne feci carcerare uno, e due altri non si sono ancora carcerati».
Bibliografia
- Iamalio, Mugnano del Cardinale nel sec. XVIII, in «Atti della Società Storica del Sannio», gennaio-aprile 1926;
- Macry, Vecchio e nuovo nel secolo dei lumi, in Storia della Campania, I, Napoli, Guida Editori, 1978;
- Lepre, Storia del Mezzogiorno, II, Napoli, Liguori Editore, 1986.