L’Avellino negli anni 80 era nell’élite del calcio nazionale. Praticamente preistoria. Poi, è stata l’unica squadra, che da allora non ha più frequentato la massima serie. Perché?
E la cosa grave è che se lo chiedono sempre più meno persone. Paradossalmente ancor meno i tifosi. E questo sarebbe già indicativo. La squadra irpina ha avuto una miriade di presidenti, tra cui alcuni evanescenti e indefinibili e un certo numero di “opportunisti”. Tra un paio di fallimenti, tante mediocri stagioni in terza serie e qualche illusorio anno di B. Ogni volta si è tornati, sistematicamente, al niente.
Il patrimonio dei tifosi si è dissolto e ci si è abituati alla nobiltà decaduta. È pur vero che il calcio è cambiato ed è veicolato in maniera completamente diversa. Ma tanti scappati di casa hanno trovato in Irpinia la loro esatta allocazione.
L’ultima illusione è datata tre anni addietro. Chi scrive fu invitato in televisione, per tenere a battesimo la nuova proprietà. Quella che fa capo a D’Agostino, per intenderci. Con qualche velleità ci si volle concedere una nuova speranza. Non si sa mai! Pertanto sotto con i consigli e le dritte. Entrambi frutto di anni passati tra spalti e sala stampa. Con un amore, almeno allora, mai del tutto sopito. Disinteressatamente mi sono trovato a spiegare, in maniera molto francescana, le funzioni vitali di un’azienda calcio. Che mai e poi mai può fare a meno di competenza e forza economica. Da suddividere, indissolubilmente, tra professionisti del settore ed il padrone. Ho spiegato, con innegabile passione, di tenere barra dritta su questo.
Non derogare al cedimento del trasporto familiare. Affidarsi ad esterni comprovati. Che la figura principe poteva e doveva essere un Direttore Generale. Abituato ai conti ed ai risultati. Il figlio del Presidente fu designato per tale ruolo. Ed ha, naturalmente, sbagliato tutto il possibile. I mestieri non si inventano. Per poter assolvere ad un compito c’è bisogno di esperienza, conoscenza e competenza. La giovane età gioca a sfavore.
La mia ritrosia ad accettare la nomina del giovane D’Agostino mi attirò critiche ed accuse di disfattismo. Portandomi anche ad esclusioni mediatiche mirate. Così da farmi comprendere di aver detto cose buone e giuste. Senza andare troppo lontano, ho suggerito, semplicemente, di seguire una linea quanto più vicina al progetto istruttorio del miglior presidente di calcio mai visto. Tal De Laurentiis. Quello del Napoli. Anch’esso, a suo tempo, inesperto della materia. Ma umile al punto giusto da imparare da chi aveva capacità. Poi ha fatto da solo. E benissimo.
Ma in Irpina ciò non è stato di possibile attuazione. Che rabbia. Esito? Molti milioni sprecati. Risultati pessimi. Partenio vuoto. Triste fine di un amore. Ora sfoglio i quotidiani. Leggo i risultati. Mi deprimo. Ma tra le righe ed i numeri impietosi, scorgo dichiarazioni societarie smozzicate: reperimento di un Direttore Generale!
Cosa dire? Forse niente. Piuttosto mi chiedo: ci sarà, a questo punto, ancora l’Avellino che fu? Quello nella mente e nel cuore del popolo biancoverde? Basterebbe anche meno, credo. Io, noi, non si va di fretta. Siamo abituati ed abbiamo imparato ad aspettare. Che Dio ce la mandi buona! Anche la fede aiuta.
Quei fantastici 10 anni in serie A ebbero inizio nel lontano 1978, quando con tre vittorie consecutive nelle ultime tre partite di Campionato (Sambenedettese Avellino = 0 – 2, Avellino Cagliari = 1 – 0, Sampdoria Avellino = 0 – 1).
L’Avellino riuscì ad agguantare una promozione che sembrava compromessa, dopo aver condotto una straordinaria stagione ma aver racimolato la miseria di 4 punti in 6 partite tra la 28ima e la 33ima giornata.
La promozione avvenne l’11 giugno al Marassi, con un gol del numero 8 Mario Piga al 9′ della ripresa, che portò in vantaggio un Avellino in maglia bianca.
Enzo Pecorelli