
A Sirignano, ormai da circa un secolo, oltre al Natale che si festeggia in tutto il mondo il 25 dicembre, si festeggia anche un “Natale piccirill”, un piccolo Natale, che coincide con una ricorrenza molto sentita dai sirignanesi, la festa di Sant’Andrea, patrono del piccolo centro irpino.
Secondo la tradizione, a dare il via a questa singolare tradizione fu il sacerdote Francesco Fiordelisi, di origini sirignanesi, che aiutava il parroco di allora, don Liberato Gallicchio (passato poi alla storia per aver affibbiato ai sirignanesi il soprannome di “coreani”, irritato dal fatto che questo paesino fu l’unico del mandamento in cui nelle elezioni successive al plebiscito vinse il partito comunista). Il Fiordelisi, ben conoscendo la grande devozione del popolo per il suo patrono, pare che abbia deciso di acquistare egli stesso dei “cuoppi” di alici fresche e di donarli ai suoi compaesani meno abbienti affinché potessero festeggiare degnamente la ricorrenza. In realtà, si è tramandato oralmente che già i Principi di Sirignano avessero l’abitudine di dispensare alla popolazione delle vivande nella stessa occasione. Poiché anch’essi veneravano il Santo ospitato nella Chiesa nata come cappella del Castello.
Comunque sia, sta di fatto che, nel piccolo comune, nonostante la benevole ironia degli abitanti dei paesi limitrofi, i festeggiamenti di Sant’Andrea Apostolo, che si tengono il 30 novembre, ovvero del “Natale piccirill”, sono rimasti per decenni almeno alla pari con quelli del “Natale gruoss”, quantomeno dal punto di vista gastronomico. Questa bella tradizione è stata poi meritoriamente ripresa dalla locale Proloco,
La pietanza principale del “Natale piccirill” è costituita dagli spaghetti con le noci e alici, ma comprende anche piatti più tipicamente natalizi, come la scarola e il baccalà.
La sera del 29 novembre in piazza Principessa Rosa (antistante alla chiesa parrocchiale), viene acceso un grande falò in onore del patrono, utilizzando fascine offerte dalla popolazione, mentre nella mattinata del 30, vengono trasportati, o trascinati, per le principali vie del paese, fino alla chiesa parrocchiale, alcuni grossi tronchi d’albero, detti “mai”, tagliati la domenica precedente nei boschi circostanti.
La tradizione del “majo” è tipica dei comuni del baianese e richiama, secondo alcuni, l’albero di maggio che le civiltà del nord Europa mettevano al centro del villaggio il primo giorno di maggio come un gesto augurale e propiziatorio e, secondo altri, il mito fallico di Attis che si collega ai culti di Cibele, diffuso in antichità in queste terre, e che farebbe discendere il termine “majo” più verosimilmente da “majius”, ovvero “il più grande”, poiché ad essere tagliato e poi ri-eretto è, di norma, l’albero più grande del bosco.