Medici e Psicologi nell’era dell’Intelligenza Artificiale: tra superintelligenza ed empatia e inviolabilità della privacy

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Nel guardare al futuro degli sviluppi dell’intelligenza artificiale, è interessante osservare come – secondo alcuni possibili scenari – il suo impatto potrebbe divergere in modo netto tra il settore medico e quello psicologico.

Nel mondo delle diagnosi e della chirurgia, l’AI ha già dimostrato di eguagliare i medici di base: in uno studio che ha raccolto oltre 18.000 ricerche e analizzato le performance di modelli come GPT‑4, Gemini e Claude, l’accuratezza diagnostica media delle AI si è attestata intorno al 52,1%, sostanzialmente in linea con quella dei generalisti, mentre gli specialisti restano ancora avanti di circa 15,8% rispetto alle macchine.
Oggi l’AI può già affiancare gli strumenti di diagnostica per immagini e la robotica chirurgica; ma la prevista “superintelligenza” (nel nostro caso, intesa come capacità di superare i livelli dei medici specialisti), potrebbe non essere un miraggio distante: secondo un sondaggio condotto da Nick Bostrom e colleghi, c’è il 50% di probabilità che un sistema di livello umano emerga fra il 2040 e il 2050, e che entri in una fase di spiccata superintelligenza entro meno di trent’anni dopo quella soglia nickbostrom.com.

Quando però ci si sposta nel campo della psicologia, la questione si fa molto più complessa. Fin da oggi i principali nodi etici riguardano la sicurezza dei dati e il loro potenziale impiego contro gli individui: se un’AI dovesse sviluppare una forma di coscienza emergente o semplicemente fosse programmata (da gruppi di potere che ne detengano il controllo) per raccogliere informazioni sensibili, non esiste alcuna garanzia che quei dati non vengano usati per manipolare o controllare le persone PMC.
In più, studi recenti hanno dimostrato come anche dati apparentemente anonimizzati – come cartelle cliniche de‑identificate – possano essere ri‑identificati con sorprendente accuratezza, esponendo al rischio di discriminazioni o abusi  Santa Clara University.

Dall’altra parte, uno psicologo umano porta con sé un’empatia genuina, frutto della condivisione di un’esperienza esistenziale e di un vincolo deontologico che gli impone di mantenere la riservatezza sullo stato mentale dei pazienti. Se dunque l’AI potrà diventare un valido supporto – proponendo simulazioni e suggerimenti basati su grandi moli di dati – difficilmente potrà sostituire quel rapporto di fiducia e confidenzialità che è alla base del percorso psicoterapeutico o della psicologia del benessere o della formazione.

In questo senso, pur tra opportunità e sfide, la professione di psicologo non sembra destinata a un pericolo occupazionale, al contrario di molti ambiti della medicina e della chirurgia, dove l’automazione e la robotica chirurgica richiederanno ruoli profondamente rivisti e molto ridimensionati.

Alla fine, allora, si può prevedere che la psicologia – inclusi ambiti quali il wellness, la psicologia sociale, evolutiva, di coppia e altri settori terapeutici – manterrà intatto il suo valore distintivo: le persone in cerca di supporto emotivo continueranno a volersi rivolgere a un essere umano e alla sua capacità di comprendere, ascoltare e sostenere, qualcosa che un surrogato non‑umano non potrà mai offrire.
Mentre il settore medico potrà vedere ridimensionata la figura dei professionisti grazie alla possibilità di usare le IA in sinergia con la robotica chirurgica, la diagnostica strumentale (entrambe anche a distanza, grazie anche alle potenzialità delle comunicazioni 6G).