Negli ultimi mesi, alcuni media occidentali – anche italiani – sembrano soffiare sul fuoco del conflitto tra Russia e NATO, esasperando ogni episodio, ogni dichiarazione, ogni esercitazione militare. La narrazione dominante non si limita a descrivere i fatti effettivamente accertati: li amplifica, li distorce, li trasforma in presagi di guerra.
E questo non sempre è un errore casuale. Spesso è una strategia: qualcuno vuole che l’Europa si convinca che lo scontro è inevitabile, e che si prepari ad affrontarlo, anche a costo di sacrificare la propria autonomia, la propria economia, e la propria stabilità.
Titoli allarmistici come “La NATO si prepara alla guerra” o “Mosca: il conflitto è già iniziato” non informano, ma condizionano e istigano. La segnalazione di droni russi nello spazio aereo polacco viene trattata come atto ostile, anche quando si tratta di episodi tecnicamente marginali.
Le ipotesi strategiche sull’uso di armi occidentali da parte di Kiev vengono presentate come svolte belliche.
Le esercitazioni NATO, che si svolgono da decenni, diventano “prove generali di guerra”. Questa esasperazione non è neutra: è funzionale a interessi che non coincidono con quelli europei.
La ripetizione ossessiva di scenari apocalittici genera assuefazione emotiva. Più si parla di guerra, più essa appare inevitabile. Il pubblico, bombardato da immagini e analisi catastrofiche, smette di interrogarsi e inizia a accettare la nefasta idea.
La guerra non è più un evento da evitare, ma una possibilità da contemplare. E in questo clima, la polarizzazione ideologica si intensifica: chi sostiene l’Ucraina dipinge la Russia come minaccia assoluta, chi è critico verso l’Occidente enfatizza le provocazioni NATO. Il risultato è una narrazione binaria, priva di sfumature, che serve solo a dividere.
Ma a chi giova tutto questo? La risposta non è difficile: giova a chi trae vantaggio da un’Europa impaurita, divisa, dipendente. L’industria bellica prospera, giustificando il riarmo e spingendo i governi europei a investire miliardi in armamenti, spesso acquistati da aziende statunitensi. La geopolitica energetica si riorienta, con gli Stati Uniti che aumentano le esportazioni di gas liquefatto verso l’Europa, rafforzando la dipendenza. I governi consolidano il potere, giustificando misure straordinarie e limitazioni delle libertà. E mentre le tensioni sociali ed economiche crescono, la minaccia esterna diventa un utile diversivo per distogliere l’attenzione dai problemi interni. Nel frattempo, il confronto si esaspera, e aumenta il rischio che anche un incidente involontario ci trascini verso l’abisso.
Bisogna rendersi conto che l’Europa, che rischia di essere il teatro potenziale del conflitto, non ne controlla affatto la regia. La linea strategica viene dettata da Washington, e i Paesi europei si adeguano, spesso contro i propri interessi.
Il riarmo imposto rischia di strangolare l’industria della difesa europea e di creare una dipendenza crescente. Più aumenta la tensione, più cresce la necessità di armamenti, più si indebolisce l’economia e la propria industria”. In questo contesto, i media diventano strumenti di pressione, non di analisi.
In realtà la percezione di una guerra imminente tra Russia e NATO è costruita. Non nasce dai fatti, ma da una narrazione che ignora le vie diplomatiche, riduce la complessità a slogan bellici, e spinge l’Europa verso un conflitto che non le appartiene. Qualcuno non ama l’Europa, e vuole trascinarla in una guerra che la indebolirebbe irreversibilmente.
Per questo, l’appello va ai media italiani: non fatevi coinvolgere, non fatevi strumentalizzare. Abbassate i toni, recuperate il senso critico, rifiutate la logica della paura.
L’informazione deve servire la Democrazia, non la propaganda. E oggi più che mai, l’Europa ha bisogno di lucidità, non di isteria.
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