
Nel contesto della strage del viadotto Acqualonga, avvenuta il 28 luglio 2013 nei pressi di Monteforte Irpino (AV), restano indelebili le tracce di una tragedia che ha stroncato 40 vite.
Quell’autobus, carico di 48 pellegrini di ritorno da Pietrelcina, subì un guasto ai freni che lo fece precipitare da circa 30 metri d’altezza, dopo aver violato il sistema di protezione del guardrail e investito diverse vetture, causando la morte di 40 persone.
Le indagini hanno evidenziato non solo gravi carenze nella manutenzione del mezzo, ma anche nell’idoneità delle barriere di sicurezza poste lungo la strada. In particolare, il proprietario del bus, Gennaro Lametta, è stato accusato di aver falsificato i documenti di revisione, configurando un quadro giudiziario complesso.
La vicenda ha fatto seguito a un iter processuale lungo undici anni, giunto al suo epilogo oggi, 11 aprile 2025, quando la Corte di Cassazione ha definitivamente confermato le condanne per i responsabili.
Tra queste, spicca la sentenza contro Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia (Aspi), condannato a 6 anni di reclusione per il reato di omicidio colposo.
La decisione, che ha suscitato reazioni contrastanti, ha portato alla luce le responsabilità condivise all’interno della gestione di Aspi:
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L’ex direttore generale Riccardo Mollo, anch’egli condannato a 6 anni.
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I dipendenti Massimo Giulio Fornaci e Marco Perna, anch’essi condannati a 6 anni ciascuno.
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Altri dirigenti, come Nicola Spadavecchia (5 anni) e Paolo Berti (5 anni), insieme ad altri esponenti aziendali, hanno visto riconosciute condanne di entità variabile (da 3 a 6 anni).
Accanto a tali sentenze, la condanna di 9 anni inflitta a Gennaro Lametta ha alimentato il dibattito; la difesa dello stesso ha espresso forti critiche, sostenendo che il bus non poteva essere considerato l’unico responsabile, e che vi sarebbero stati problemi strutturali riguardanti il tratto autostradale e la carenza di manutenzione sistemica.
Le reazioni dei legali testimoniano la complessità del caso: mentre il difensore di Castellucci, Filippo Dinacci, ha annunciato la prontezza del suo assistito a costituirsi non appena verrà emesso l’ordine esecutivo, gli avvocati che difendono Lametta hanno espresso un’amara constatazione, lamentando come l’imputato debba ora pagare, oltre alla condanna personale, il peso delle problematiche legate alla gestione e manutenzione dell’intero tratto autostradale.
Questa sentenza rappresenta non soltanto la chiusura di un lungo iter giudiziario, ma anche l’esito di un’indagine volta a fare piena luce su una delle maggiori tragedie stradali nella storia italiana, con implicazioni che travalicano il singolo caso e invitano a una riflessione più ampia sulla sicurezza e la gestione delle infrastrutture critiche.
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