“Toccare per capire”: cosa ci insegna Papa Francesco sull’incontro con l’altro

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Un incontro qualunque. In una corsia d’ospedale, in una mensa per i poveri, in un campo profughi. Un corpo fragile, una mano che cerca, un volto che racconta storie che non hai vissuto. Eppure, in quell’istante, smetti di guardare da lontano. Tocchi. E capisci. O almeno inizi a capire.

È questo il cuore di uno dei messaggi più potenti — e meno citati — di Papa Francesco: “Non basta vedere, è necessario toccare”. Una frase semplice, quasi banale, ma che nasconde una verità profondissima: non possiamo davvero conoscere l’altro se non ci lasciamo coinvolgere, anche fisicamente, nella sua realtà.

Sembra un’intuizione religiosa. E lo è. Ma è anche qualcosa che la psicologia e le neuroscienze hanno ormai iniziato a confermare: l’essere umano è una creatura fatta per il contatto. Il tatto è il primo senso a svilupparsi nell’embrione. È il primo linguaggio che impariamo, ancor prima delle parole. E non smette mai di parlarci.

Non è un caso se il Papa, parlando della sofferenza, dice che non possiamo restare spettatori. Non basta guardare da lontano chi soffre, né basta sentirne parlare nei telegiornali. Serve un gesto. Una vicinanza. Una mano posata sulla spalla. Un abbraccio. Anche solo la disponibilità a non voltarsi dall’altra parte.

Viviamo invece in un tempo in cui tutto tende a diventare “a distanza”: relazioni, lavori, persino le emozioni. Toccare è diventato sospetto. È invadente, rischioso, talvolta addirittura sconsigliato. Ma cosa perdiamo, in questa distanza di sicurezza permanente?

Perdiamo l’esperienza piena dell’altro. Perché, come scriveva Levinas, il volto dell’altro ci chiama, ci interpella, ci obbliga. Ma solo se ci lasciamo toccare, in tutti i sensi. Papa Francesco insiste spesso su questo punto: non possiamo amare l’umanità in astratto. Dobbiamo sporcarci le mani. Dobbiamo toccare le ferite. Letteralmente.

E allora, forse, il tatto non è solo un senso biologico. È una postura dell’anima. Una scelta di prossimità, di empatia, di coraggio. Toccare per conoscere significa accettare che l’altro non è un concetto, ma una presenza viva. Significa lasciare che la sua realtà ci cambi. E questa è una verità profondamente incarnata: non capiamo davvero chi abbiamo di fronte finché non ci lasciamo toccare — fisicamente o emotivamente — dalla sua vita.

In un mondo che spesso anestetizza la sofferenza altrui con parole e statistiche, il messaggio del Papa suona come una provocazione umanissima: se vuoi capire, devi avvicinarti. Se vuoi conoscere, devi toccare.

Non basta vedere. È necessario sentire. E lasciarsi toccare.

(Antonio  DE ROSA)