Ci sono momenti in cui la vita e la storia dei piccoli centri viene toccata dai grandi e straordinari avvenimenti della Storia. Mi riferisco, in questo caso, alle Grandi Manovre Militari del 1936 in Irpinia.
I fatti narrati sono il frutto del lavoro certosino e paziente di ricerca e di recupero di documenti e articoli di giornale dell’epoca dell’architetto Enzo Fiore (molti di questi salvati dal fango e dalle macerie dopo il terremoto del 1980 nella sua casa di Teora). Ma il mio scopo non è quello di fare la cronaca di questo ‘war game’ tra gli ‘Azzurri’ (il cui comandante era il Principe Umberto) e i ‘Rossi’ (con a capo il Generale Guillet), ma di raccontare di aneddoti curiosi accaduti in Irpinia e a Teora in particolare, in quei giorni.
Il 14 luglio 1936 l’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) comunicò agli italiani che, dal 20 al 30 agosto, in Irpinia si sarebbero svolte le “PRIME GRANDI MANOVRE DELL’IMPERO”.
Ogni parola destò scalpore, ma soprattutto “Irpinia”: dov’era l’Irpinia? Molti consultarono enciclopedie e cartine geografiche per sapere dove si trovasse questa terra. Ma perché fu scelta proprio l’Irpinia?
I motivi furono probabilmente due:
IL BALILLA FUSCO
Tredicenne di Monteforte Irpino, Lorenzo Fusco, durante la Guerra d’Etiopia si distinse per il suo coraggio lanciando le bombe che aveva nel suo tascapane e mettendo in fuga gli abissini che avevano circondato il suo reparto. Fu decorato con Medaglia d’argento al valore Militare. Mussolini si interessò al ragazzo e al suo paese d’origine. Per motivi propagandistici volle incontrare il Balilla, che per l’occasione fu fatto tornare dall’Africa, e decise che le grandi Manovre si sarebbero svolte in Irpinia.
LA CONTINUITA’ DINASTICA
Il Principe di Piemonte, unico erede maschio della famiglia reale, per volere del padre, ma soprattutto della madre, non aveva partecipato alla Guerra di Etiopia del ‘35/’36. Per questo motivo il Principe Umberto, essendo il comandante del X Corpo di armata con sede a Napoli, fu nominato comandante degli ‘Azzurri’ nelle Grandi Manovre. Così, quando Mussolini propose di far svolgere le Manovre in Italia Meridionale, il Re approvò la scelta.
Per dare una risonanza mondiale, Mussolini fece arrivare in Irpinia, come osservatori, missioni estere formate da ufficiali provenienti da Francia, Giappone, Cecoslovacchia, Germania, Jugoslavia, Unione Sovietica, Stati Uniti e Gran Bretagna e Cina. Oltre a numerosi corrispondenti della stampa straniera, giunsero in Irpinia gli inviati delle maggiori testate giornalistiche nazionali.
Il ‘Circo’, quindi, giunse ad Avellino. Nei primi giorni di luglio fu asfaltato il tratto irpino della strada statale Appia; alla stazione ferroviaria di Montella fu aggiunta la terza serie di binari; chilometri di cavetti telefonici correvano sui muri, sugli alberi e sui pali irpini; lungo Viale Italia ad Avellino furono costruiti archi di trionfo; i muri dei paesi interessati furono tinteggiati di un bianco splendente e apparvero scritte inneggianti al Re, al Principe, al Duce e all’esercito.
Al di sotto del Santuario di Montevergine fu costruita dalla Società Elettrica della Campania un’impalcatura alta oltre 50 metri e lunga 200 metri che formava le parole latine REX-DUX, scritta che la sera veniva illuminata da centinaia di lampade e che era visibile a distanza di chilometri. Di questa scritta, che ricorda quella che troneggia sulle colline di Hollywood, restano solo poche immagini sbiadite.
Anche i pochi antifascisti avellinesi furono ‘invitati’ a trascorrere 10 giorni in alberghi di lusso a Capri a spese dello Stato. Mussolini fu ospite del Prefetto al Palazzo del Governo dove, si racconta, fu nascosta una mucca di razza pregiata che doveva fornire latte appena munto a Mussolini per la sua gastrite.
Si racconta, inoltre, che Mussolini, durante il pranzo offerto dall’Abate Don Ramiro Marconi nell’Abbazia di Loreto, avesse dato ordine alla Polizia segreta di controllare i preparativi e di prelevare anche campioni dei piatti serviti. L’Abate ebbe il coraggio di dirgli: “Eccellenza non siamo più ai tempi dei Borgia“. Mussolini , mortificato, fece terminare i controlli.
I finti combattimenti si protraevano anche fino a tarda sera e a Teora molte persone si trattenevano sul belvedere di Piazza XX Settembre per assistere all’insolito spettacolo e per osservare le fiammate degli spari a salve che accendevano le calde notti estive e i fumogeni lanciati per coprire la ritirata dei ‘Rossi’.
Va ricordato che il cinema più vicino si trovava ad Avellino, e cioè a 64 km di distanza; non esistevano i gelati e per rinfrescare gli spettatori si preparavano gustose e casalinghe granite all’amarena o alla menta.
A proposito dei fumogeni, questi erano una preoccupazione per le massaie che avevano sistemato al sole le ‘spasette’ di pomodori per le conserve invernali.
I giorni che portarono al raduno del 29 Agosto 1936 a Teora furono giorni frenetici, costellati di curiosi episodi non riportati dalla cronaca ufficiale. I pochi carabinieri in servizio alla stazione di Teora erano impegnati nel servizio d’ordine per la presenza delle massime autorità nazionali e, per questo motivo, il cadavere di un teorese ucciso rimase in un fosso per due giorni .
Ci fu anche un altro episodio criminale che vide il ferimento di un soldato che aveva spiato, vantandosene con tanto di dettagli, una ragazza che faceva un bisogno dietro una siepe. Un familiare non fu per niente contento della cosa tanto da aggredirlo e ferirlo gravemente.
LA VECCHIA TEORESE E IL RE
La mattina del 29 agosto il Re si trovava presso il campo sportivo nella zona Tarantino con a seguito numerose auto di grossa cilindrata e ufficiali stranieri; situazione straordinaria per un piccolo centro. Mentre ascoltava i commenti dei suoi ufficiali, il Re, per la calura estiva, si tolse la bustina e si asciugò con un fazzoletto. Questo gesto non sfuggì a una anziana signora che aspettava il suo turno per riempire il suo barile alla vicina fontana. La signora non poté non notare i pochi capelli bianchi ai lati del capo e ignorando completamente che quel militare fosse il Re, gli disse: “Mio bene mio, sì accussì viecchio e fai ancora lu suldat?”. Inoltre precisò: “Maritéme mò ave che s’ave cungedat”.
Il Re, ovviamente, non capì neanche una delle parole pronunciate dalla signora. Voleva però sapere cosa avesse detto, ma neanche i suoi ufficiali gli furono d’aiuto.
La guardia comunale corse a chiamare il Podestà Luigi Masini , il quale con garbo e tatto ‘tradusse’ al Re le parole della signora. Il Re e i suoi ufficiali risero di gusto. Il Re si fece dare una banconota da 50 Lire, mostrò alla donna la sua effige e poi gliela donò chiedendole di portarla al marito suo ‘commilitone’ nella grande guerra.
Il ‘foglio’ (che misurava cm 24 x 14) sparì nella cassaforte (il reggiseno) della donna. Con i prezzi correnti la signora avrebbe potuto comprare, ad esempio, più di sette chili di carne di prima scelta o 20 chili di baccalà.
LA CONCOLINA DEL BUCATO
Al Principe Umberto fu preparato un pranzo improvvisato alla Casa del Fascio. Per cuocere la pasta per i numerosi ufficiali fu adoperata una ‘concolina’ in ferro zincato chiesta in prestito alla signorina Rodia Caprio che non celò la sua disapprovazione.
L’INCIDENTE
Il 29 Agosto la potente auto di Mussolini con l’autista personale Ercole Boratti giunse a Teora dove investì una Camicia Nera in una curva pericolosa e insidiosa del paese. Sparsa la notizia del passaggio di Mussolini, la folla si ammassò lungo le strade e, per dare una mano ai pochi vigili e carabinieri per mantenere l’ordine pubblico, fu chiesta la collaborazione del giovane falegname Remigio Lepore.
Quando arrivò l’auto di Mussolini la gente, per osservare meglio, nella concitazione ed eccitazione del momento, lo spinse sotto le ruote e il malcapitato si fratturò una gamba. I testimoni del tempo ricordano che Mussolini inveì contro il suo autista intimandogli di continuare la corsa verso Sant’Andrea di Conza. Remigio fu trasportato al vicino ospedale di Pescopagano dove ricevette le più moderne e costose cure che gli salvarono la gamba ma non ricevette mai la pensioncina richiesta come risarcimento per l’incidente. Ovviamente la cronaca ufficiale di quei giorni fu costretta a tacere riguardo all’accaduto.
A onor di cronaca le grandi manovre furono ovviamente vinte dalla Squadra Azzurra del Principe Umberto
Con questa lapide, che sostituisce due lapidi precedenti, posta in Piazza XX Settembre i teoresi ricordano lo straordinario e leggendario evento che tramandano con il detto: “TEORA, PER UNA SOLA ORA CAPITALE D’ITALIA”.
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