Il 16 settembre 1578 la baronia di Avella – posseduta sin dal 1552 dalla famiglia Spinelli – fu acquistata per 56 mila ducati dal mercante genovese Ottavio Cattaneo, una singolare figura di imprenditore che lo storico Raffaele Colapietra ha definito «avventuroso proprietario di galere all’indomani di Lepanto, corrispondente arguto di Gian Andrea Doria, geniale e munifico intenditore d’arte fino alla prodigalità autolesionistica».
Accanto alle proprietà di natura feudale, il Cattaneo acquistò contestualmente consistenti beni allodiali (di carattere strettamente privato, privi degli obblighi connessi ai beni feudali), costituiti soprattutto da castagneti nelle zone montuose, da terreni a coltura intensiva nelle zone pianeggianti e da botteghe nei centri abitati, fra le quali le importanti taverne di Sperone e del Cardinale, molto redditizie per la loro posizione lungo il tracciato della Strada Regia delle Puglie.
In merito alla gestione dei suddetti beni, particolarmente interessante si rivela una convezione (che per questioni legali non trovò, comunque, applicazione) stipulata il 6 agosto del 1585 fra Ottavio Cattaneo e l’università (cioè il comune) di Avella, con cui «detto illustre Signore cedeva e rinunciava a detta Università tutto, e qualsivoglia ragione che avesse […] sopra le montagne nelle quali è stata controversia nel Sacro Consiglio» e contemporaneamente, riconosceva ai cittadini di Avella alcuni importanti diritti, fra i quali quello di eleggere i due eletti (che all’epoca svolgevano il ruolo dell’attuale sindaco), di prestarsi «pesi e misure» (cioè bilance) purché usati per motivi privati e non di commercio, di utilizzare l’acqua piovana «dalle strade pubbliche, e portarla alle loro possessioni senza impedimento, né pagamento alcuno del portulano», di entrare con «qualsivoglia sorte d’animali nelli boschi feudali […] dal di del capo di anno in poi fino alla metà di Settembre senza pagamento alcuno, e che in quelli possano anche tagliare legna morte tantum, e quelle pigliare et portarsele alle loro case» e di essere pagati – se obbligati a lavorare per la «baronal Corte» – con lo stesso salario percepito dagli operai che lavoravano per i privati. In cambio di quanto sopra, l’università di Avella si impegnava a versare al Cattaneo una somma annua di settanta ducati in tre rate e gli concedeva la privativa della raccolta e conservazione della neve sulle anzidette montagne.
Oltre che alle questioni strettamente economiche, egli fu molto sensibile – aspetto all’epoca non particolarmente comune – anche alla ricchezza storico-culturale avellana, tanto che la sua figura ci viene consegnata dai tre maggiori storiografi del territorio (Ignazio D’Anna, Francesco Guerriero e Luigi Napolitano) come quella di un signore particolarmente generoso ed illuminato, che provvide, tra l’altro, a far collocare nella piazza antistante al palazzo baronale (dove ancora si trovano) quattro basamenti onorari di epoca romana, recanti preziose epigrafi e bassorilievi.
Nel 1598, travolto da un dissesto finanziario, Ottavio Cattaneo, ad istanza dei creditori, perse la baronia di Avella, confiscata dal Sacro Regio Consiglio ed assegnata nel 1604 (a seguito di un’importante operazione di permuta) a Giovanni Andrea Doria del Carretto «principe di Melfi e duca di Tursi come erede del defunto Andrea Sforza del Carretto in cambio dello Stato del Finale, che questi aveva ceduto a beneficio di Re Filippo II» (R.A. Ricciardi).
Bibliografia
R.A. Ricciardi, Storia dei feudi delle Due Sicilie del cav. Erasmo Ricca continuata da Raffaele Alfonso Ricciardi, Napoli, s. a. [1887?].
R. Colapietra, Dal Magnanimo a Masaniello. Studi di storia meridionale nell’età moderna, II, I genovesi a Napoli durante il viceregno spagnolo, Salerno 1973.
P. Colucci, Aspetti dell’eversione della feudalità nella ex baronia di Avella, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», vol. CXL, 2022.