Come ben sanno tutte le persone che ogni anno sono costrette a respirare i fumi delle foglie raccolte e accese nei noccioleti e la polvere sollevata dalle macchine raccoglitrici e che ristagna nella cappa di aria bassa e umida, il periodo che va tra la seconda metà di agosto e la prima metà di settembre, nelle campagne della Bassa Irpinia e del resto del “Vescovado”, che comprende anche l’area nolana, è dedicato alla raccolta delle preziose nocciòle.
È, questa, una coltura che si è diffusa principalmente dopo la seconda guerra mondiale e che è stata di primaria importanza per il territorio prima indicato. Si tratta, rispetto alle altre, di una coltura che non richiede un gran numero di ore per ettaro né di molti interventi con fitofarmaci (di cui alcuni utilizzati in passato risultati, con il senno di poi, molto impattanti sia per l’ambiente che per la salute).
Il fatto, però, che quello della Corylus avellana (ovvero il nocciòlo) sia indiscutibilmente un arbusto particolarmente rustico ha generato, in molti casi, un grosso equivoco: ha fatto cioè ritenere a molti che la sua fosse una coltivazione quasi “a senso unico”, cioè che una volta piantata e allevata nella forma a ceppaia la pianta potesse essere quasi considerata eterna. Invece, anche il noccioleto, come tutti gli altri frutteti, ha una fase giovanile con produzione crescente, una fase stazionaria con produzione all’incirca costante, e una fase di senescenza con produzione man mano calante. Insomma: molti, troppi noccioleti dell’area, sono vecchi.
A ciò si aggiungono gli effetti dei mutamenti climatici e i danni provocati da alcuni patogeni, soprattutto di natura entomologica e micologica.
Il risultato di tutto questo è che, l’annata attuale è ormai la terza di seguito che ha dato scarse produzioni e, con le dovute eccezioni, resa e qualità non particolarmente elevate.
Ciononostante, e per fortuna, mentre lo scorso anno il prezzo delle nocciole era di circa 220 euro al quintale, quest’anno si aggira tra i 280 e i 300 euro. Un prezzo che, a detta di molti. Sarebbe destinato ad aumentare, viste le difficoltà produttive della Turchia, principale concorrente dell’Italia.
Il calo delle produzioni, però, che oscilla attorno al 40%, ha un effetto negativo sui ricavi totali. E le ricadute economiche di tale stato di fatto sono pesanti. Anche perché molte famiglie dipendono da questa coltivazione per consolidare le loro finanze.
Il calo di produzione, oltre ai fattori indicati prima, è stato causato da particolari fattori se non climatici sicuramente meteorologici: la primavera è stata caratterizzata da un periodo insolitamente lungo di siccità, seguito da piogge torrenziali a fine primavera e all’inizio dell’estate. Queste condizioni meteorologiche avverse hanno ostacolato la crescita delle nocciole, causando la perdita di fiori e piccoli frutti in fase di sviluppo. Inoltre, l’estate è stata caratterizzata da temperature elevate e continue ondate di calore, che hanno ulteriormente danneggiato le piante.
Il “punto resa” è un termine utilizzato nel settore della coltivazione delle nocciole. Si riferisce al rapporto tra il prodotto sgusciato e quello con guscio, privato delle nocciole guaste o compromesse. Questo rapporto è calcolato in genere su un campione di un kg.
Più specificamente, il “punto resa” di una partita di nocciole è ogni singolo punto e frazione di punto, arrotondato alla prima cifra decimale, della “Resa netta in percentuale”. Più la resa è alta, più la partita di nocciole sarà considerata di qualità, e pagata maggiormente. Ovviamente, meno la resa è alta, meno varrà il carico.
Per esempio, con il prezzo base delle mortarelle di 2 fascia di 6,50 euro punto resa e con una resa del 40%, moltiplicando i due valori si ottiene 260 euro al quintale. Ma il problema, come si è detto prima, è che i quintali di nocciole raccolte per ettaro sono diminuiti.
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