
Camminando in un bosco, l’apparenza è quella di un luogo silente, quasi immobile, ma scavando sotto la superficie si svela un mondo sotterraneo complesso, fatto di micorrize, segnali chimici, competizione e cooperazione. Esistono reti micorriziche composte da filamenti di funghi che intessono connessioni tra radici diverse, creando i cosiddetti CMN, Common Mycorrhizal Networks, che – in alcuni casi – consentono il passaggio di acqua, nutrienti e molecole di segnalazione tra le piante. La narrazione mediatica dominante ha trasformato tutto in una sorta di “Internet della natura”, dove gli alberi si lanciano allarmi biochimici quando qualcosa minaccia il bosco, condividono risorse vitali e persino favoriscono i più giovani, quasi come un sistema di sostegno collettivo.
Questa immagine è nata dallo studio di Suzanne Simard del 1997, pubblicato su Nature, nel quale si mostrava (in casi specifici) un trasferimento di carbonio «apparente» tra alberi tramite funghi (theguardian.com)
Dall’esportazione divulgativa del concetto – presente in documentari, bestseller come The Hidden Life of Trees di Peter Wohlleben e persino in letteratura – è nato un racconto ammaliante: alberi “madri” che proteggono i loro figli, reti silenziose che tessono cooperazione, persino la definizione affascinante di “comunità socialista naturale” (theguardian.com).
Alcuni ecologi, però, hanno sollevato riserve: le quantità di carbonio trasferite erano spesso molto basse, talvolta trasmesse tramite suolo o aria anziché esclusivamente dal fungo, e in natura i vantaggi evidenziati in laboratorio non si ritrovano sempre sul campo .
Proprio alcuni co-autori iniziali dello studio Simard – come Karst, Jones e Hoeksema – ammettono che molte affermazioni sono esagerazioni divulgative più che solidi risultati scientifici .
Parallelamente esiste tutt’altra faccia: le piante usano vere e proprie armi chimiche per difendersi o ostacolare i vicini. Il fenomeno dell’allelopatia è ben documentato: alcune specie rilasciano nel suolo o nell’aria composti come fenoli, saponine, juglone (dal noce nero) che inibiscono crescita e germinazione di altre piante, abbassano la biodiversità e alterano la struttura del bosco .
Queste molecole non restano circoscritte: ricerche come quelle di Perry e Choquette (1987) hanno evidenziato che l’allelopatia può danneggiare anche le micorrize stesse, modificando profondamente l’ecosistema (andrewsforest.oregonstate.edu).
Un ulteriore contrasto emerge dalle interazioni tra rete fungina e allelopatia. Alcuni studi hanno dimostrato che i funghi possono veicolare composti inibitori più lontano, amplificando l’effetto delle sostanze tossiche rilasciate dalle piante.
Le micorrize non sono sempre mediatrici di solidarietà: possono favorire specie dominanti o in buone condizioni, accentuando competizione e iperconnessione, dove chi è più forte trae maggiore beneficio e ostacola gli altri .
Il nostro studioso Stefano Mancuso, botanico italiano di fama nel panorama della “plant neurobiology”, ha proposto una visione meditata e originale: parla di “intelligenza distribuita” delle piante, un’attività cognitiva diffusa che non rispecchia l’intelligenza umana ma esprime capacità di percezione, risposta e adattamento all’ambiente.
Mancuso non nega le reti fungine, né la capacità delle piante di comunicare chimicamente; sottolinea però che antropomorfizzare il bosco porta a fraintendimenti sul loro funzionamento reale. Le piante, secondo lui, sono formidabili “chimisti e sensori”, attive in un equilibrio tra mutuo scambio e competizione, senza alcuna intenzione morale o cooperazione conscia .
Dice Mancuso che la meraviglia verso questo regno silenzioso è giustificata, ma occorre ragionare: le piante non “si parlano” come noi pensiamo, piuttosto cambiano continuamente l’ambiente chimico e microbiologico circostante.
Si difendono, competono, adattano le loro radici, i funghi, gli agenti patogeni, mescolando dinamiche di potere e alleanza, e senza moventi altruistici.
Il bosco non è un coro armonico ma un laboratorio vivo, dove ogni specie conduce la propria partita, in equilibrio instabile tra scambio e competizione.
Ecco perché, alla prossima passeggiata in un bosco, possiamo ancora provare meraviglia. Ma sappiamo anche che sotto i nostri piedi non esiste una rete di cooperazione totalizzante, bensì un ecosistema stratificato: interazioni involontarie e alleanze tattiche ad hoc, barriere chimiche, micorrize che talora favoriscono e talora estraggono alleati, piante “pigmalione” e piante che avvelenano i vicini.
La natura è intelligente, certo (qualcuno sostiene che anche la materia inanimata lo sia), ma non è un’antologia di buone intenzioni: è una realtà mossa sia da interazioni ambientali involontarie sia un campo di battaglia e diplomazia, dove ogni comparsa gioca la sua parte, spesso ben lontano dal canto corale poetico rappresentato mediaticamente.