Il baratro della ludopatia: donne schiave del gioco che si prostituiscono per poter continuare a giocare.

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Prendendo spunto dall’interessante servizio girato a Napoli per Striscia la Notizia dal noto giornalista irpino Luca Abete, andiamo ad approfondire le dimensioni e le motivazioni, anche psicologiche, dell’inquietante fenomeno per cui alcune donne, vittime di ludopatia, spinte dalla necessità di saldare debiti ingenti con il gioco d’azzardo giungono perfino a prostituirsi, evidenziando il degrado economico e psicologico in cui queste persone si trovano, offrendo – talora anche nei bagni delle sale giochi – prestazioni sessuali in cambio del denaro necessario per continuare a giocare.

Secondo un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità del 2018, il 36,4% della popolazione adulta italiana (circa 18,45 milioni di persone) ha praticato il gioco d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno; di questi, l’8,3% (poco meno di 1,5 milioni) rientra nella categoria dei giocatori problematici.
Stime ministeriali e ricerche accademiche collocano invece i giocatori d’azzardo patologici tra lo 0,5% e il 2,2% della popolazione italiana, ovvero da 300 mila e oltre 1,3 milioni di individui.

Sul fronte dell’assistenza, al giugno 2023 l’ISS ha censito 163 centri del Servizio Sanitario Nazionale dedicati alla cura del disturbo da gioco d’azzardo, con una distribuzione più ampia al Nord (68 centri) e più contenuta al Sud e nelle Isole (45 centri).

Il DSM‑5 definisce il disturbo da gioco d’azzardo come un comportamento problematico, persistente e ricorrente, caratterizzato dalla presenza di almeno quattro sintomi nell’arco di 12 mesi, tra cui: necessità di giocare somme crescenti di denaro (tolleranza), irrequietezza o irritabilità in caso di astinenza, inseguimento delle perdite, menzogne e compromissione delle relazioni lavorative o sociali.

Dal punto di vista neurobiologico, la ludopatia coinvolge il sistema mesocorticolimbico dopaminergico, con attivazione del nucleus accumbens e della corteccia prefrontale, processi analoghi a quelli osservati nelle dipendenze da sostanze: il denaro o l’illusione di una vincita agiscono da rinforzo comportamentale.

Inoltre, gli studi sottolineano un’elevata comorbidità: è frequente l’associazione con depressione, disturbi d’ansia, disturbo bipolare, disturbi di personalità e con abuso di alcol e altre sostanze; in alcuni reparti psichiatrici la prevalenza del disturbo da gioco d’azzardo raggiunge il 6,7–12% dei pazienti ricoverati.

La ludopatia non è semplicemente un vizio o una questione di scarsa volontà, ma un vero e proprio disturbo psichiatrico in cui il comportamento di gioco assume il carattere di una dipendenza, fino a indurre il soggetto a compiere azioni degradanti, come prostituirsi.

Chi ne soffre sperimenta un desiderio incontrollabile di scommettere, nonostante le conseguenze negative sulla vita personale, lavorativa e relazionale, e finisce per ripetere l’azione di gioco in un meccanismo sempre più difficile da interrompere.

Dentro questo circuito compulsivo si muove un complesso intreccio di messaggeri chimici. La dopamina, per prima, agisce come motore della ricompensa: a ogni piccola vincita, o anche solo all’anticipazione di essa, scatena una sensazione di piacere che rinforza il comportamento, spingendo a rincorrere nuovamente quella scarica di benessere. Nel contempo la serotonina, la cui funzione è quella di regolare l’umore e gli impulsi, risulta spesso insufficiente a frenare l’impeto, lasciando spazio a un’irrequietezza che incoraggia a cercare nuove puntate per sentirsi “a posto”. Le endorfine, poi, diffondono una dolce euforia che attenua ansia e fatica, prolungando il coinvolgimento emotivo e facendo sembrare il tavolo da gioco come un rifugio in cui ogni preoccupazione sfuma.

Ma il gioco non è solo piacere: è anche tensione, e qui entrano in scena il cortisolo e l’adrenalina. L’ormone dello stress sale nei momenti di attesa, aumentando il senso di urgenza e il coinvolgimento psicofisico; accanto a lui, l’adrenalina sollecita il corpo rendendo il battito più veloce e l’attenzione più acuta. Nel breve termine questo mix può risultare elettrizzante, ma nel lungo periodo logora, provoca insonnia, sbalzi di umore e un senso di colpa che spinge a cercare un riscatto immediato attraverso un’ulteriore puntata. In questo modo si instaura un circolo vizioso, alimentato da un autentico squilibrio neurobiologico, da cui è estremamente difficile uscire senza un aiuto professionale.

L’importante è non cadere nella trappola della dipendenza.
Il padre di un mio amico, che aveva perso una discreta somma di denaro al gioco delle carte, preoccupato, così apostrofò il figlio: “Io non mi preoccupo dei soldi che hai perso – te li do io -, io mi preoccupo che ti vuoi rifare“…