
Un impatto devastante avvenuto circa 66 milioni di anni fa cambiò per sempre la storia della vita sulla Terra. L’evento, legato all’estinzione dei dinosauri non aviani, è stato per lungo tempo attribuito a un unico e gigantesco asteroide, responsabile della formazione del cratere di Chicxulub nella penisola dello Yucatán, in Messico.
Tuttavia, nuove ricerche ne stanno riscrivendo la storia, sia per quanto riguarda la sua origine, sia per la dinamica dell’impatto stesso.
Un recente studio pubblicato su Science ha evidenziato che il corpo celeste che colpì la Terra non proveniva dalla Fascia Principale degli asteroidi, tra Marte e Giove, come ipotizzato in passato, bensì dalle regioni più esterne del Sistema solare.
L’analisi isotopica del rutenio — un metallo raro sulla Terra ma abbondante nei meteoriti — ha permesso agli scienziati di identificare la firma chimica dell’impattatore come compatibile con quella degli asteroidi carbonacei di tipo C, originari della fascia di Kuiper.
Questa regione, popolata da oggetti ghiacciati e rocciosi, è situata oltre l’orbita di Nettuno ed è anche la culla delle cosiddette comete di breve periodo.
Sebbene alcuni corpi provenienti dalla fascia di Kuiper possano diventare comete attive, rilasciando gas e polveri in prossimità del Sole, il frammento che generò Chicxulub si presentava come un corpo solido, privo di attività cometaria, e dunque classificabile più correttamente come un asteroide carbonaceo. La composizione primitiva di questi oggetti, risalente ai primordi del Sistema solare, rende il loro studio particolarmente prezioso per comprendere i meccanismi di formazione planetaria e l’evoluzione delle orbite dei corpi minori.
La scoperta sull’origine dell’asteroide non solo fornisce nuovi dettagli sulla composizione del corpo impattatore, ma solleva anche interrogativi rilevanti per la sicurezza planetaria. Corpi provenienti dalla fascia di Kuiper o da zone simili sono molto più difficili da rilevare rispetto a quelli interni al Sistema solare: le loro orbite eccentriche e la grande distanza rendono il loro tracciamento una sfida per l’attuale tecnologia di osservazione. Ciò implica che un oggetto simile, in rotta di collisione con la Terra, potrebbe essere identificato troppo tardi per consentire un’azione preventiva.
A complicare ulteriormente il quadro, vi è una seconda ipotesi scientifica che ha preso piede negli ultimi anni: l’idea che l’impatto di Chicxulub non sia stato causato da un singolo oggetto, ma da due asteroidi distinti, o da un unico corpo frammentatosi poco prima dell’impatto. Alcuni modelli suggeriscono che un sistema binario o un oggetto fratturato possa aver colpito la Terra in rapida successione, generando crateri multipli. A supporto di questa tesi, nel 2022 è stato identificato il cratere Nadir, sepolto al largo della costa dell’Africa occidentale nel Golfo di Guinea. Pur essendo molto più piccolo del cratere di Chicxulub, la sua datazione suggerisce che potrebbe essersi formato nello stesso periodo, rendendolo un possibile secondo punto d’impatto.
Sebbene la correlazione tra i due crateri non sia ancora definitiva, l’ipotesi di un impatto doppio apre nuovi scenari sull’evento catastrofico che segnò la fine dell’era mesozoica. L’eventualità che più corpi colpiscano la Terra quasi contemporaneamente non è esclusa nei modelli dinamici delle famiglie di oggetti celesti, specialmente se si tratta di frammenti originari della stessa regione remota.
Alla luce di queste scoperte, la comunità scientifica sta accelerando lo sviluppo di sistemi più efficaci di sorveglianza spaziale. L’uso combinato di telescopi terrestri, osservatori spaziali e radar ad alta precisione è considerato essenziale per aumentare le probabilità di identificare per tempo oggetti potenzialmente pericolosi. In quest’ottica si inserisce anche la missione DART (Double Asteroid Redirection Test) della NASA, che nel 2022 ha dimostrato per la prima volta la possibilità di deviare un asteroide tramite impatto cinetico.
Tuttavia, il successo della missione DART va contestualizzato: essa ha riguardato un piccolo asteroide della fascia principale, facilmente monitorabile. Se una minaccia dovesse invece arrivare dalle regioni oscure del Sistema solare esterno, come nel caso di Chicxulub, i tempi di reazione potrebbero non essere sufficienti. È perciò evidente che la difesa planetaria richiederà investimenti continui e coordinamento internazionale.
Le nuove ricerche sull’origine dell’asteroide di Chicxulub e sull’eventuale impatto multiplo non solo arricchiscono la nostra comprensione del passato geologico del pianeta, ma rappresentano un monito sul futuro. In un sistema planetario dinamico e complesso, il miglior antidoto alla catastrofe resta la conoscenza scientifica unita alla cooperazione globale.