Guerra in Ucraina: l’opaco volto della crisi geopolitica e la tecnica manipolativa nota come “problema-reazione-soluzione”

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La tecnica di manipolazione delle masse nota come “problema–reazione–soluzione” descrive una strategia secondo la quale i gruppi di potere, attraverso la creazione o l’esacerbazione di una crisi (il “problema”, che in realtà è un falso problema oppure un problema creato ad arte) e una narrazione mendace, inducono una reazione emotiva e spesso irrazionale nelle masse, per poi proporre una “reazione” consistente nell’accettazione di una “soluzione” preordinata, altrimenti non accettata, che rafforza il controllo politico o economico.

Questa dinamica è stata analizzata da diversi studiosi e commentatori, ed è diventata un punto di riferimento nella discussione sul rapporto tra crisi, propaganda e manipolazione sociale.

Le diverse fasi possono essere descritte, più precisamente, nel modo seguente:

  1. Creazione del Problema
    La prima fase consiste nella creazione o evidenziazione di una situazione di crisi. Tale crisi può essere reale, parzialmente esagerata o addirittura fabbricata. L’obiettivo è destabilizzare l’ordine percepito, generando paura, ansia o incertezza nella popolazione.
    Può trattarsi di crisi economiche, energetiche, sanitarie di sicurezza nazionale o altro. Poiché le masse, adeguatamente manovrate da una narrazione mendace e strumentale, che si serve dei media corrotti, dai social, da influencer o perfino dalle intelligenze artificiali, è facilmente suggestionabile
  2. Indurre quindi Reazione (ovvero la richiesta una Soluzione che risolva il falso problema, anche accettando limitazioni o condizioni che non si sarebbero mai accettate).
    Il meccanismo è il seguente: la crisi, essendo percepita come una minaccia immediata, induce una risposta emotiva e talvolta irrazionale nel pubblico. Queste reazioni, spesso caratterizzate da panico o da richieste di intervento urgente, facilitano il consenso a misure straordinarie, anche se inusuali o potenzialmente autocratiche.
  3. Presentare la Soluzione desiderata
    Infine, i gruppi al potere propongono una “soluzione” preconfezionata, che viene presentata come l’unica via d’uscita dalla crisi. Tale soluzione tende a rafforzare la loro posizione, giustificando misure di controllo, sacrifici o di ristrutturazione dell’assetto politico ed economico.

Si tratta di un metodo di manipolazione delle masse che è stato applicato più volte nella storia. Uno degli esempi più citati è il rogo del Reichstag nel 1933.
Dopo l’incendio del Parlamento tedesco (chissà se causato artatamente oppure no), il governo nazista sfruttò l’episodio per alimentare il panico e giustificare e far accettare la sospensione di molte libertà civili.
Il Decreto dell’Incendio del Reichstag fu la base per il consolidamento del potere di Hitler, permettendo un’espansione autoritaria dello Stato (Kershaw, 1998; Moeller, 1990).

Oltre a quello citato, diversi storici e analisti hanno sottolineato come situazioni di crisi, atti terroristici (taluni, forse, provocati) o disastri naturali, siano state utilizzate per rafforzare il potere statale.
Ad esempio, dopo gli eventi dell’11 settembre 2001, alcune politiche di sicurezza straordinaria sono state introdotte negli Stati Uniti, alimentando un dibattito sul bilanciamento tra sicurezza e libertà civile. Pur rimanendo oggetto di controversie e dibattiti accademici, questo esempio evidenzia come la manipolazione della percezione di crisi possa giustificare misure eccezionali.
Grossi dubbi permangono anche in rapporto ad altri eventi, come la guerra in Iraq, che – a dire di molti studiosi – ottenne il consenso dell’opinione occidentale per aver fatto credere che il regime disponesse e fosse pronto a usare armi di distruzione di massa, in realtà mai trovate.


Il fenomeno è stato analizzato da numerosi studiosi nell’ambito della psicologia delle masse e della propaganda:

  • Gustave Le Bon, nel suo celebre studio “Psychologie des foules” (1895), ha illustrato come le emozioni collettive possano essere manipolate e guidate, rendendo le folle suscettibili a interventi autoritari.
  • Jacques Ellul, in “Propaganda: The Formation of Men’s Attitudes” (1965), ha esaminato il ruolo dei media e della propaganda nella formazione dell’opinione pubblica, evidenziando come le crisi possano essere sfruttate per orientare il pensiero collettivo.
  • Naomi Klein, con “The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism” (2007), ha offerto una lettura critica dei modi in cui le élite politiche ed economiche approfittano degli shock e delle crisi per introdurre riforme di mercato radicali, spesso a discapito delle libertà individuali.

In aggiunta, studi interdisciplinari nel campo della psicologia politica hanno evidenziato come la paura e l’incertezza possano condurre all’accoglimento di misure anche particolarmente drastiche, soprattutto in contesti di crisi (vedi, ad esempio, ricerche pubblicate su riviste di psicologia sociale e studi sulla comunicazione politica).

La domanda che ora ci si pone è la seguente: queste tecniche manipolatrici sono state adottate solo in passato o vengono utilizzate anche oggi?

Ci sono, infatti, interpretazioni e analisi — soprattutto da parte di alcuni studiosi indipendenti di geopolitica — che suggeriscono come meccanismi simili al “problema–reazione–soluzione” possano essere in atto anche oggi. Secondo questa visione, le narrazioni che enfatizzano la minaccia di un imminente attacco (ad esempio, quello che si teme dalla Russia) potrebbero servire a creare un clima di urgenza e insicurezza, giustificando così politiche di riarmo o interventi militari più incisivi.

Chiaramente, noi non abbiamo i mezzi per rispondere con certezza a una domanda simile. Ciò che possiamo fare è valutare i vari aspetti e farci una nostra autonoma opinione e cercare di comprendere se gli avvenimenti attuali possano corrispondere alla varie fasi della presunta manipolazione.
Oggi, per esempio, alcuni osservatori (anche nel dibattito politico nazionale) sostengono che la drammatizzazione delle tensioni geopolitiche possa avere l’effetto di mobilitare l’opinione pubblica verso un maggiore investimento in difesa. Tale narrazione – che dipinge l’immagine estremamente pericolosa e allarmante di un nemico esterno – può rendere accettabili, agli occhi dell’elettorato, misure che altrimenti verrebbero viste come eccessive o rischiose, come per esempio un rafforzamento del potere militare e l’accettazione di sacrifici economici.

A questo punto, è importante sottolineare che queste interpretazioni sono oggetto di vivaci dibattiti: mentre alcuni analisti le trovano utili per spiegare determinati fenomeni politici e militari, altri ritengono che la complessità degli scenari internazionali richieda una lettura multifattoriale, dove storia, interessi economici, rivalità geopolitiche e dinamiche interne contribuiscono in modo significativo agli eventi.

In altre parole, sebbene esistano teorie (e talvolta anche evidenze empiriche in forma parziale) secondo cui meccanismi simili al “problema–reazione–soluzione” possano essere utilizzati oggi per orientare l’opinione pubblica e giustificare scelte strategiche come il riarmo, è fondamentale mantenere un approccio critico e multidimensionale.

La geopolitica contemporanea risulta infatti estremamente complessa e le narrazioni di crisi, pur potendo essere in parte manipolate, sono il prodotto anche di reali tensioni internazionali e dinamiche storiche.

Pertanto, sebbene alcuni studiosi indipendenti e analisti critici possano vedere in certi eventi attuali una strategia simile a quella storicamente documentata, ogni analisi deve essere supportata da fonti diversificate e da un esame rigoroso dei contesti in cui tali dinamiche si verificano.