BIOTECNOLOGIE – Sempre giovani a pagamento: chi potrà permetterselo vivrà più a lungo e più in salute

Cliccare sui pulsanti sotto per condividere. GRAZIE !

Un gruppo di biologi molecolari dell’Università di Harvard ha varcato i limiti della biologia classica, riuscendo a invertire i segni dell’invecchiamento in topi anziani grazie a un programma di rinnovamento epigenetico.
Alla base di questo risultato si trova l’ipotesi che il progressivo deterioramento della gestione del DNA, più che mutazioni genetiche vere e proprie, rappresenti il motore principale dell’invecchiamento: studi hanno dimostrato come la riorganizzazione della cromatina e la perdita di metilazioni specifiche possano guidare i tessuti verso uno stato senescente. I ricercatori hanno quindi messo a punto un protocollo di riprogrammazione parziale, in grado di ripristinare quell’informazione epigenetica “giovane” senza cancellare l’identità cellulare né innescare proliferazioni tumorali incontrollate.

L’approccio sperimentale si basa sull’iniezione di un vettore virale che trasporta tre fattori di trascrizione — Oct4, Sox2 e Klf4 — noti per la loro capacità di innescare un ripristino epigenetico senza arrivare alla piena pluripotenza delle cellule, condizione pericolosa per il rischio di oncogenesi. Nel modello animale, questa terapia genica ha restituito ai muscoli, alla pelle e persino al tessuto nervoso caratteristiche tipiche di individui giovani: le fibre muscolari hanno mostrato un aumento della capacità rigenerativa, l’elasticità cutanea si è ripristinata e persino la funzione retinica è migliorata in topi precedentemente affetti da glaucoma sperimentale.

Da un punto di vista molecolare, i topi trattati presentano un profilo di metilazione del DNA che si avvicina a quello degli esemplari giovani, con un recupero significativo dei pattern normali di espressione genica e una riduzione dei marcatori di stress ossidativo e infiammatorio. Questo reset epigenetico, misurato attraverso orologi biologici basati sulla metilazione, ha dimostrato che l’età “biologica” degli animali può essere riportata indietro di diversi mesi, portandoli a uno stato equivalente a quello di topi giovani pur mantenendo il proprio tessuto distinto e funzionale.

Un passo ulteriore è stato fatto da un gruppo di studiosi che ha esteso l’esperimento a topi ultranovantenni — equivalenti a ottantenni umani — e ha osservato non solo un miglioramento della qualità di vita, ma anche un incremento del 109% della sopravvivenza residua rispetto ai controlli trattati con placebo. Questo risultato suggerisce che la riprogrammazione parziale OSK non si limita a condizionare parametri di salute a breve termine, ma possa effettivamente allungare la durata della vita sana, un dato senza precedenti in modelli murini anziani.

Mentre queste scoperte avanzano verso studi preclinici in primati non umani, emerge con forza la domanda di come e quando tali tecniche possano trovare applicazione nell’uomo. Già oggi, progetti di ricerca stanno esplorando l’utilizzo di modulatori chimici in grado di agire sugli stessi percorsi epigenetici, aprendo la strada a trattamenti meno invasivi e a largo spettro. L’obiettivo finale è elaborare protocolli che rallentino o addirittura invertano l’invecchiamento negli organi vitali, riducendo così l’incidenza di malattie cardiovascolari, neurologiche e metaboliche legate all’età.

Parallelamente ai progressi biomedici, si profilano complesse questioni di carattere etico e sociale. La possibilità di accedere a terapie di ringiovanimento potrebbe acuire le disuguaglianze nell’assistenza sanitaria e sollevare interrogativi sulla distribuzione delle risorse in una popolazione in cui la mortalità diventa una scelta più che un destino. Si rendono necessarie nuove regolamentazioni che definiscano criteri di accesso equi e tutelino la sostenibilità demografica, senza trascurare il dibattito sul significato stesso di invecchiamento e di vita umana.

Infine, il traguardo raggiunto al Sinclair Lab rappresenta un punto di svolta nello studio dell’invecchiamento, offrendo la concreta possibilità di manipolare il “software” cellulare con la stessa precisione di un programma informatico. Questa prospettiva, un tempo confinata alla fantascienza, potrebbe presto trasformarsi in una realtà clinica, inaugurando un’era in cui l’invecchiamento non sia più sinonimo di declino irreversibile ma, al contrario, di un processo gestibile e potenzialmente invertibile.