Nel turbinio delle tendenze moda del 2025 si sta facendo strada un’idea tanto audace quanto surreale: utilizzare il DNA fossile di un Tyrannosaurus rex e le moderne biotecnologie per “coltivare” pelle di dinosauri da utilizzare per realizzare borse di lusso dal fascino “Jurass-chic”.
L’iniziativa, frutto della collaborazione tra l’Università di Newcastle, la startup olandese The Organoid Company, Lab-Grown Leather Ltd. e l’agenzia creativa VML, promette un biotessuto cruelty-free e biodegradabile, ottenuto ricostruendo in laboratorio frammenti di epidermide rettiliana risalenti a 66 milioni di anni fa.
Alla base di questo progetto rivoluzionario c’è un approccio definito “scaffold-free”, che sfrutta cellule ingegnerizzate con sequenze sintetiche del collagene preistorico. Queste cellule, ospitate in bioreattori all’avanguardia, si integrano autonomamente in una matrice fibrillare capace di riprodurre la consistenza e la resistenza della pelle, senza il ricorso a sostanze chimiche nocive né al sacrificio animale. I promotori assicurano che il risultato offrirà l’elasticità tattile, la durabilità e la patinatura tipica dei pellami più raffinati, ma con un’impronta ecologica infinitamente minore rispetto all’allevamento intensivo e alla concia tradizionale.
Nonostante il clamore mediatico e le immagini suggestive diffuse sui social network, la comunità scientifica resta cauta. Gli esperti sottolineano che l’integrità del DNA si degrada rapidamente nel tempo e che finora il materiale genetico più antico sequenziato risale a poco più di due milioni di anni fa, lontano dall’epoca in cui dominavano i dinosauri.
Inoltre, i fossili di T. rex finora studiati hanno rivelato tracce di collagene solo in porzioni scheletriche, non nella pelle vera e propria, il che rende la ricostruzione di un genoma specifico un’impresa al limite del fantastico.
Nonostante ciò, i leader del progetto respingono al mittente ogni scetticismo, sostenendo che la mancanza di campioni integri viene colmata da potenti algoritmi di intelligenza artificiale in grado di colmare le lacune genetiche. Secondo Thomas Mitchell, CEO di The Organoid Company, la combinazione tra genome editing e ingegneria proteica permette di progettare sequenze di collagene “ottimizzate” e di inserirle in linee cellulari ospiti, spianando la strada a un materiale dal DNA ispirato al re dei predatori preistorici.
Nel mondo della moda il concept ha già conquistato gli addetti ai lavori: salotti riservati e anteprime digitali stanno trasformando quello che era un vezzo da fantascienza in un’imperdibile tendenza da collezione. I bozzetti anticipano borse con superficie leggermente “squamata”, evocativa della pelle di rettile, abbinate a finiture metalliche e tagli architettonici che rimandano alla silhouette possente del T. rex.
Questa narrazione di fusione tra passato remoto e futuro sostenibile sembra rispondere al desiderio di unicità e storytelling tipico del lusso contemporaneo.
Sul versante ambientale, i promotori evidenziano i vantaggi di un processo in vitro che elimina le foreste disboscate per i pascoli e riduce drasticamente l’uso di sostanze inquinanti, garantendo al contempo la biodegradabilità del prodotto finale. Resta però aperto il confronto sui consumi energetici legati ai cicli di fermentazione cellulare e sulla necessità di materie prime biotecnologiche, la cui produzione su larga scala potrebbe comportare nuovi impatti da ponderare con rigore.
Al di là delle questioni tecniche ed etiche, l’idea di un accessorio dal DNA fossile ha già scatenato un battage di reazioni, dai fan entusiasti che immaginano di indossare un frammento di preistoria, ai critici che parlano di puro colpo di marketing. In un mercato dove la narrazione è spesso più importante del prodotto in sé, la promessa di “pelle di dinosauro” offre un racconto irresistibile che potrebbe ridefinire il concetto stesso di esclusività.
Il debutto commerciale dei primi prototipi è previsto entro la fine del 2025, con un prezzo a tre zeri destinato a una clientela di nicchia. Se l’esperimento avrà successo, non sorprenderebbe veder crescere l’offerta di biotessuti ispirati ad altre specie estinte, dando vita a un nuovo capitolo in cui la moda attinge al passato più remoto per inventare il futuro. Ma soltanto il tempo – e i test di laboratorio – sapranno dirci se la pelle di dinosauro sarà un’autentica rivoluzione o resterà un miraggio affascinante, sospeso tra scienza, etica e desiderio di meraviglia.