Con l’Intelligenza Artificiale: nel 2025 il PIL potrebbe aumentare dell’1,8% ma sarebbero a rischio 6 milioni di lavoratori

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L’intelligenza artificiale sta per presentare al nostro Paese un bilancio che porta con sé grandi opportunità ma anche rischi concreti per il mondo del lavoro.
Le stime più recenti, supportate da analisi pubblicate su testate autorevoli come Il Sole 24 Ore e La Repubblica, indicano che entro il 2035 l’adozione massiccia dell’IA potrebbe far crescere il PIL italiano fino a 38 miliardi di euro, corrispondenti a un incremento dell’1,8%.
Tuttavia, questa spinta tecnologica si accompagna a una profonda trasformazione del mercato del lavoro: circa 6 milioni di lavoratori potrebbero essere completamente sostituiti dalle macchine, mentre altri 9 milioni vedranno le proprie mansioni ristrutturate dall’integrazione delle tecnologie intelligenti. In sostanza, si parla di ben 15 milioni di impiegati che saranno direttamente o indirettamente interessati da questa rivoluzione.

Il monito lanciato da Maurizio Gardini durante il Focus Censis ConfcooperativeIntelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?” si fa dunque estremamente attuale: il paradigma deve essere rivisitato in maniera urgente.
L’innovazione tecnologica, infatti, deve essere concepita e messa a servizio dell’essere umano, affinché il progresso non si trasformi in un meccanismo freddo e disumanizzante, ma in un volano per uno sviluppo inclusivo e sostenibile.
È necessario rimettere la persona al centro, garantendo che l’intelligenza artificiale potenzi le capacità dei lavoratori anziché renderli superflui.

I dati, inoltre, rivelano un quadro complesso legato al livello di istruzione: il rischio di sostituzione o, al contrario, la possibilità di un’integrazione sinergica con l’IA, cresce con l’aumentare del grado di formazione. Tra i lavoratori considerati a basso rischio, il 64% non ha conseguito un’istruzione superiore e solamente il 3% possiede una laurea.
Al contrario, nelle categorie più esposte alla sostituzione, il 54% è in possesso di titoli di studio avanzati, mentre il 33% ha ottenuto una laurea. Questi dati sottolineano l’importanza strategica della formazione continua e della riqualificazione professionale, strumenti indispensabili per adattarsi alle nuove dinamiche del mercato del lavoro.

Un ulteriore elemento di rilievo è rappresentato dal divario di genere: le donne risultano maggiormente esposte agli effetti dell’automazione, costituendo il 54% dei lavoratori nelle categorie ad alto rischio di sostituzione e il 57% di quelli che vedranno le loro mansioni integrate dall’IA. Tale squilibrio evidenzia la necessità di politiche specifiche che favoriscano l’accesso equo alle opportunità formative e lavorative, riducendo il gap e promuovendo una partecipazione attiva e consapevole di entrambi i sessi nella rivoluzione tecnologica.

Il confronto a livello internazionale aggiunge un ulteriore tassello alla questione. Nel 2024 solo l’8,2% delle imprese italiane ha introdotto soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, una percentuale notevolmente inferiore rispetto al 19,7% registrato in Germania e al 13,5% che rappresenta la media europea. Questo divario si manifesta in maniera ancora più marcata nei settori del commercio e della manifattura, dove l’adozione delle tecnologie avanzate in Italia rimane ben al di sotto dei livelli osservati in altri paesi europei. Il ritardo nell’implementazione dell’IA potrebbe, dunque, incidere negativamente sulla competitività internazionale del nostro sistema produttivo.

Numerose analisi di mercato e approfondimenti giornalistici evidenziano come l’integrazione dell’intelligenza artificiale non debba essere vista esclusivamente come una minaccia, ma anche come una grande opportunità per ripensare il modello economico nazionale.
Investire in ricerca e sviluppo, rafforzare le infrastrutture digitali e promuovere politiche di formazione sono passi fondamentali per trasformare il cambiamento tecnologico in un motore di crescita economica e innovazione. Solo una strategia integrata, che ponga al centro l’essere umano e valorizzi le competenze, potrà assicurare un futuro del lavoro più resiliente ed equo.

Un esempio emblematico di questa rivoluzione produttiva si trova all’estero, nelle cosiddette “fabbriche buie” della Cina.
In questi impianti, le linee di produzione sono completamente automatizzate: operano esclusivamente robot senza alcuna presenza umana e, grazie a sistemi altamente efficienti, non è neppure necessario mantenere le luci accese.
Questa realtà, che può sembrare fantascientifica, dimostra come l’automazione estrema possa portare a una significativa riduzione dei costi energetici e a una massimizzazione dell’efficienza operativa, rappresentando al contempo il modello futuro per molti settori industriali.
Tale esempio lancia un ulteriore monito: se da un lato l’innovazione può spingere verso una produttività senza precedenti, dall’altro è essenziale orientare questi processi in modo da salvaguardare il ruolo centrale dell’uomo nel sistema produttivo, garantendo così uno sviluppo armonico e socialmente sostenibile.