La “Metodica De Rosa”: una particolare tecnica di ingegneria naturalistica adatta ai suoli piroclastici campani.

dott. AGR. Dante Casoria

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La “metodica De Rosa©” consiste in un nuovo modo di interpretare l’Ingegneria Naturalistica (I.N.) quando si debba intervenire con essa sui suoli di natura vulcanica (come quelli, piroclastici, dell’area circumvesuviana della Campania) o su tutti gli altri suoli che presentino, per varie cause, degli strati meccanicamente, chimicamente o biologicamente inerti1. Il dott. agronomo prof. Pellegrino De Rosa, avendo constatato che gli apparati radicali delle piante non attraversano gli strati di pomici2, ha fatto osservare come molte strutture realizzate secondo le tecniche di I.N. sui suoli piroclastici, se non opportunamente adeguate alle specifiche caratteristiche agronomiche e geopedologiche di tali terreni, finiscano per rivelarsi completamente inefficaci e per costituire esse stesse la causa di futuri e più pericolosi ed estesi dissesti.

Gli interventi di I.N. (detti anche interventi “in verde”) prevedono l’uso integrato di materiali naturali e di piante vive. Semplificando molto il discorso, avviene che, solitamente, vengono usati paletti di legno (in castagno, di conifere, ecc..) per realizzare varie strutture di contenimento (es. palificate semplici o doppie, graticciate, viminate, ecc..) unitamente a talee di salice e piantine di specie autoctone (alle quali, oltre la funzione meccanica è demandata anche quella di “rinaturalizzazione” del sito).

La struttura in legno ha un effetto immediato di contenimento e di stabilizzazione ma, siccome con il tempo perderà le sue caratteristiche meccaniche (si seccherà oppure marcirà) è previsto che la sua funzione meccanica debba poi essere sostituita da quella delle piante ad essa associate, che nel frattempo saranno cresciute e che con il loro apparato radicale avranno raggiunto la profondità prevista dall’intervento (corrispondente, per lo meno, a quella alla quale sono stati infissi i paletti).

Ebbene, ma cosa succede – per esempio – se i paletti sono stati ancorati a 1,2 metri di profondità su un terreno che presenta uno strato di pomici posto a 60 centimetri?
Succede, semplicemente, che la struttura perde di efficacia, poiché le radici non potranno mai “approfondarsi” oltre lo strato pomiceo ed ancorarsi al suolo sottostante e, una volta che si sarà disfatta la struttura in legno, il sito diverrà pericolosamente instabile.
Per questo motivo, in tali casi, il prof. De Rosa ha segnalato la necessità di effettuare in fase di piantumazione delle specie vegetali una trincea o una buca che oltrepassi lo strato inerte e che sia riempita di fertile terreno vegetale, costituendo in tal modo una via preferenziale per gli apparati radicali delle piante3, consentendo loro di ben ancorarsi al suolo più profondo e di svolgere in maniera ottimale la funzione biomeccanica loro richiesta4.

© Dalle osservazioni condotte è stata studiata una nuova struttura di I.N. denominata “agevolatore radicale”, per la quale è stata presentata domanda di brevetto industriale (AV2006A000003).

 

1 La “metodica De Rosa” è stata presentata dall’autore alla fine dello stage da lui effettuato presso Scienze Forestali ed Ambientali (Direttore: Prof. Stefano Mazzoleni. Relatore: Prof. Antonio Saracino) e del Master in Gestione e Difesa del Territorio, da lui conseguito nel 2005 presso l’Università degli Studi di Napoli (Direttore: prof. Nunzio Romano) e al quale, negli anni successivi, ha tenuto delle lezioni sull’argomento, in forma di seminario, come “esperto esterno”.

2 Il fatto si osserva facilmente lungo i “tagli stradali” ed era già noto ai corilicoltori di tutta l’area Baianese e del Vallo di Lauro. Siccome le pomici (presentanti elevata macroporosità ma ridottissima microporosità) non riescono a trattenere l’acqua, l’ambiente diventa inospitale per le radici (che all’aria si autopotano). Esse, pertanto, preferiscono mantenersi nel suolo fertile e umido più superficiale e non riescono ad adempiere alla funzione di sostegno prevista dall’incauto intervento

3 E’ noto che le piante vanno piantate a livello del colletto (zona del fusto appena sopra le radici) e che se piantate più in profondità muoiono. Secondo un detto popolare, infatti, “le radici devono poter sentire le campane”, ovvero devono trovarsi appena al di sotto del livello del terreno.

4 Il dott. De Rosa ha pertanto aggiunto ai 4 tipi di interazione suolo-pianta descritti da Tsukamoto e Kusakabe (1984) un quinto tipo, rappresentato dai suoli piroclastici (terza figura, sopra).


 

 

 

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