Il 7 Dicembre si è aperta a Montréal, in Canada, la XVa Conferenza delle Parti sulla diversità biologica, la cosiddetta COP15, alla quale hanno partecipato i 196 Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione sulla diversità biologica
In occasione dell’apertura dei negoziati, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, ha pronunciato parole dure e insieme di preoccupazione sull’attuale stato del pianeta:
“Stiamo conducendo una guerra contro la natura. Gli ecosistemi sono diventati giocattoli di profitto. Le attività umane stanno devastando foreste, giungle, terreni agricoli, oceani, fiumi, mari e laghi un tempo fiorenti. L’umanità è diventata un’arma di estinzione di massa, con un milione di specie che rischiano di scomparire per sempre. Tutta questa distruzione ha un prezzo enorme. Posti di lavoro persi, devastazione economica, fame in aumento, costi più elevati per cibo, acqua ed energia, diffusione di malattie e un pianeta degradato. La guerra dell’umanità contro la natura è in definitiva una guerra contro noi stessi.”
La comunità scientifica internazionale è infatti concorde nell’affermare che oltre un milione delle specie attualmente viventi scompariranno nei prossimi decenni. Quella a cui stiamo assistendo è una vera e propria estinzione di massa, la sesta, che sta avvenendo a una velocità spaventosa. Secondo il rapporto Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services il ritmo di perdita delle specie è da decine a centinaia di volte superiore alla media degli ultimi 10 milioni di anni e la causa è umana. Eppure è risaputo che la conservazione della biodiversità riveste una primaria importanza. Essa potrà consentire all’umanità di affrontare meglio l’impatto della crisi climatica (per esempio trasferendo specie vegetali in zone dove il clima mutato non consente più la crescita e la produzione di piante autoctone) e di conservare i geni e le molecole da esse derivanti dalle potenzialità applicative ancora sconosciute ma che potrebbero rivelarsi di immensa importanza (es. l’aspirina estratta dalla corteccia di salice o il sangue del “limulo” in grado di attaccare i ceppi resistenti di batteri patogeni).
Dei 23 obiettivi oggetto di discussioneri, uno in particolare ha suscitato grande interesse. Conosciuto come “30 x 30”, questo target prevede la protezione del 30% delle aree marine e terrestri del pianeta entro il 2030. Proposto dall’High Ambition Coalition for Nature and People (HAC), un gruppo di oltre 100 Paesi tra cui Stati uniti, Europa e Canada, quest’obbiettivo vorrebbe garantire che gli ecosistemi continuino a fornire quei servizi ecosistemici imprescindibili per conservare un’ambiente in discreta salute Ma, secondo uno studio pubblicato su “Science” secondo cui, se anche si raggiungesse di tale obiettivo, la conservazione del livello base di resilienza degli ecosistemi non sarebbe garantita e che si dovrebbe proteggere almeno il 50% delle aree sopra indicate. Insomma, gli scienziati spingono per trovare un accordo che sia basato sulle osservazioni scientifiche e non sugli interessi economici. La conservazione del 30% delle terre e delle acque darebbe infatti adito ad alcune grandi nazioni, tra cui Brasile ed Argentina, di continuare ad abbattere aree significative di foresta per lasciare spazio a miniere, agricoltura e allevamenti.
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