La violenza di genere è un problema complesso e pervasivo che origina da questioni culturali e coinvolge tutti gli aspetti della società civile, tra cui famiglie, scuole, media, linguaggi e luoghi di lavoro. Secondo il rapporto del 2020 del GREVIO (Gruppo di Esperti sulla Violenza del Consiglio d’Europa), la società italiana mostra una resistenza verso una vera parità di genere, con la persistenza di stereotipi riguardanti il ruolo delle donne e una bassa percentuale di processi e condanne per violenza contro le donne.
La violenza contro le donne è strettamente legata a una visione di genere che comprende insulti sessisti, maltrattamenti in famiglia, molestie sul posto di lavoro, ricatti economici, distruzione morale della donna e femminicidio. Questo problema è confermato dal report 2024 della Banca Mondiale, “Women, Business and the Law”, che presenta dati su 190 paesi riguardanti le leggi e la loro applicazione, che influenzano le opportunità economiche delle donne.
Nonostante i progressi nell’adozione di leggi sulle pari opportunità in materia di sicurezza, i dati mostrano che il punteggio medio globale in questo settore è solo di 36 (su 100), il che significa che le donne godono solo di un terzo della protezione legale di cui hanno bisogno quando si tratta di violenza domestica, molestie sessuali, matrimoni precoci e femminicidi. Inoltre, sebbene 151 paesi abbiano leggi che proibiscono le molestie sessuali sul posto di lavoro, solo 39 hanno leggi che le proibiscono negli spazi pubblici.
Il luogo di lavoro non sembra essere un ambiente sicuro per le donne, sia in termini di sicurezza personale che di parità salariale. Nonostante i progressi fatti dalle donne nell’accesso al mercato del lavoro negli ultimi trent’anni, l’Italia è ancora molto indietro in termini di parità di genere, classificandosi al 79° posto nel World Economic Forum. Il divario salariale di genere in Italia, che rappresenta la differenza tra il salario medio annuale percepito da uomini e donne, è stimato al 43%, posizionando l’Italia al quarto posto tra i paesi con il divario salariale più ampio in Europa. Questo significa che le donne italiane iniziano a percepire uno stipendio solo a partire da febbraio, pur lavorando dal 1° gennaio, e che un salario più basso durante l’età lavorativa comporta anche una pensione più bassa.
Secondo i dati della survey L.E.I. (Lavoro, Equità, Inclusione) di Fondazione Libellula, che ha esaminato l’esperienza di 11.201 donne nel mondo del lavoro, il 40% delle donne ha subito contatti fisici indesiderati sul posto di lavoro. Quasi 7 donne su 10 hanno ricevuto complimenti e allusioni non richiesti e lo stesso numero di donne è stato oggetto o ha sentito battute sessiste. Inoltre, il 65% delle donne è considerato aggressivo se dimostra ambizione e/o assertività e 6 donne su 10 ritengono che una donna che fa carriera abbia usato la seduzione per raggiungere i suoi obiettivi.
Per quanto riguarda le donne con disabilità, i dati dell’Inail mostrano che delle circa 700.000 persone con disabilità in età lavorativa, solo il 31,3% ha un lavoro e questa percentuale scende a poco più del 26% tra le donne. Per loro, trovare un lavoro è molto più difficile che per gli uomini. Inoltre, secondo i dati dell’Oms, le bambine, le ragazze e le donne con disabilità sono esposte a violenze e discriminazioni cinque volte maggiori.
Per questi motivi, l’attenzione per le persone con disabilità è un elemento chiave del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità. In particolare, il Governo italiano ha voluto istituire un’autorità politica specifica per sottolineare l’importanza delle misure a favore delle persone con disabilità e per garantire che le azioni proposte (ad esempio in materia di giustizia, pubblica amministrazione, mercato del lavoro) siano adeguatamente inclusive.
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