INTRODUZIONE
Questo articolo, con scopi esclusivamente divulgativi, vuole essere un tentativo di affrontare alcune delle tematiche che investono il nostro futuro, in maniera multidisciplinare e integrata, con la finalità di provare a individuare un possibile filone di ricerca in grado di portarci a ipotizzare, studiare e comprendere alcune dinamiche sociali e psicologiche ad esse connesse.
Chiaramente, questo approccio, non ha alcuna pretesa né di esaustività né di fornire risposte certe a problematiche così complesse.
Il tentativo è quello di provare a ipotizzare e/o individuare, come semplice esercizio speculativo, le relazioni esistenti tra i diversi ambiti messi in evidenza dall’interessante esperimento etologico noto come “Universo 25”.
Esso, come è noto, ha studiato gli effetti dell’aumento di una popolazione di topi sui loro comportamenti e sul destino finale della loro “società”. Lasciando intendere che dinamiche come quelle osservate potrebbero essere non esclusive dei topi ma avere alcuni aspetti analoghi a quelli osservabili nell’attuale società umana, ulteriormente complicate ed esasperate dalle ultime e impattanti tecnologie emergenti (intelligenze artificiali, robotica) e dalla ormai innegabile crisi ambientale (mutamenti climatici, riduzione della biodiversità, penuria delle materie prime necessarie alla transizione energetica, crisi idrica) che, nell’insieme, se non adeguatamente governate, minacciano di far implodere la nostra società.
Gli argomenti presi in esame sono vari e articolati, perciò altrettanto numerosi sono i rimandi (in forma di link) ad alcuni loro approfondimenti, ai quali si è accennato anche per invitare a “pensare” alla questione con un approccio “olistico”.
L’ANDAMENTO DEMOGRAFICO DELLA POPOLAZIONE UMANA (sintesi).
(ndr: c’è un errore nel filmato: la Terra in realtà ruota in senso opposto)
Secondo un recente studio genetico pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, gli uomini o – più precisamente – gli antenati degli uomini moderni, , tra 813.000 e 930.000 anni fa, hanno rischiato di estinguersi a causa di un forte e prolungato raffreddamento del nostro pianeta. In quell’epoca, infatti, in tutto il mondo erano presenti appena circa 1.300 nostri antenati.
Non solo. Secondo un precedente studio sul cromosoma Y , anche l’uomo moderno (Homo sapiens), comparso tra i 200.000 e i 100.000 anni fa, avrebbe rischiato di sparire dalla faccia della Terra; questa volta a causa di una tremenda eruzione del supervulcano indonesiano Toba, avvenuta circa 75.000 anni fa, che produsse un oscuramento del sole e un raffreddamento della Terra.
Secondo questa teoria, tutti gli uomini oggi esistenti discenderebbero da non più di 1.000 o 10.000 coppie, complessivamente vissute fra i 100.000 e i 50.000 anni fa.
Superati, per il rotto della cuffia, questi due “colli di bottiglia” (riduzioni estreme di popolazione), il numero di esseri umani ha raggiunto poi livelli più rassicuranti e si è mantenuto al di sotto di un milione di individui fino a 20.000 anni fa.
Successivamente, il diffondersi dell’agricoltura ha accelerato la crescita, e, nell’anno 1 d.C. si sono raggiunti i 170 milioni di persone, concentrate in gran parte nel Mediterraneo, india e Cina.
Per incrementarne il numero del 50 per cento furono poi necessari circa mille anni. Infatti, nell’anno 1000 si raggiunsero 255milioni di persone. Per raddoppiare questo numero occorsero altri 500 anni (nel 1575 si giunse a mezzo miliardo) e, nell’anno 1800, si tagliò il traguardo di 1 miliardo. In seguito, bastò meno di un secolo (fino 1987) per arrivare a 5 miliardi e, il 15 novembre 2022, si è sfondata la soglia degli 8 miliardi.
Secondo le previsioni dei demografi nel 2100 (se cambiamenti climatici, epidemie, carestie e guerre lo consentiranno) arriveremo a sfiorare gli 11 miliardi di persone: la popolazione, rispetto ad oggi, aumenterà di 3 miliardi di individui nonostante il tasso di crescita globale (linea rossa, nella figura) stia rallentando dal 1965. Ma c’è anche chi teme che i cambiamenti climatici possano causare, nel medesimo periodo, la morte di circa 1 miliardo di persone.
L’IMPATTO ANTROPICO (cenni)
Nello sviluppo demografico prima accennato, gli uomini hanno impattato enormemente sull’ambiente, comportandosi come incoscienti (posto che lo siano) batteri che si moltiplichino consumando tuto il substrato nutritivo di una piastra Petri fino ad essere soffocati dai propri stessi rifiuti. Sta di fatto che, il 2 agosto 2023, abbiamo registrato il cosiddetto “Earth Overshoot Day”, che segna il giorno dell’anno in cui l’umanità ha consumato tutte le risorse che la Terra è in grado di produrre o di rinnovare in un intero anno!
Inoltre stiamo distruggendo così tanti ecosistemi che la “Cop 15” ci avverte che rischiamo la “sesta estinzione“.
La situazione è talmente seria che la stessa ONU ha lanciato, con l’Agenda 21 una proposta di “depopolazione” della Terra. Avertendo che “La politica demografica ha lunghi tempi di esecuzione” e che “le altre politiche devono adeguarsi di conseguenza”.
La questione della sovrappolazione (chiamata “bomba P” tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso) non è nuova e addirittura, spinse un ignoto a far costruire nella contea di Elbert, in Georgia, negli Stati Uniti d’America un monumento in granito chiamato “Georgia Guidestones” sulle cui otto facce erano scritte dieci “regole” per salvaguardare il futuro dell’umanità. Tra esse, vi era la raccomandazione di portare e mantenere la popolazione mondiale al di sotto dei 500 milioni di persone! (ndr. Il misterioso monumento è stato poi demolito per motivi di sicurezza il 6 luglio 2022).
L’ESPERIMENTO “UNIVERSO 25”
Fin dal Diciottesimo secolo l’uomo si chiede fino a quanto potremo crescere come numero di abitanti sulla Terra. Tra le principali teorie legate al tema della sovrappopolazione, sin dall’Ottocento hanno avuto risalto quelle malthusiane, coniate dall’economista e filosofo Robert Malthus, secondo cui l’umanità potrebbe estinguersi per una carenza di risorse causata dalla crescita esponenziale della popolazione, poiché, diceva: “le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente”. A queste considerazioni, il filosofo Ralph Waldo Emerson rispose che la mente umana era anch’essa un fattore dell’economia politica e che bisognava tenerne conto.
Nel corso del Novecento il dibattito si ampliò, e molti scienziati iniziarono a ipotizzare che non era soltanto l’equilibrio matematico tra risorse e numero di abitanti il fattore determinante per un eventuale collasso della specie umana. Bisognava aggiungere altre componenti, e la principale tra queste era il comportamento dei singoli individui all’interno della società.
In questo dibattito si inserì l’etologo John Calhoun che, nella seconda metà del Novecento, eseguì alcuni esperimenti da cui risultava che il pericolo maggiore per una società non dipenderebbe dalla limitatezza delle risorse, bensì una serie di complesse di dinamiche sociali che egli definì “fogna del comportamento”.
Egli, già nel 1947, aveva condotto alcune osservazioni su una colonia di topi norvegesi confinati in un recinto, accorgendosi che l’incremento della popolazione non aumentava come era previsto. Incuriosito da questo freno demografico, nel 1962 condusse un altro studio, questa volta impiegando dei ratti grigi, e notò lo stesso rallentamento dell’esperimento del 1947. Comprese allora che per, scoprire le cause di quanto aveva osservato, avrebbe dovuto creare una vera e propria “società dei topi”.
Nacque così l’esperimento “Universo 25”: nel 1968, nel Maryland, Calhoun predispose l’habitat ideale per quattro coppie di topi, caratterizzato da risorse alimentari illimitate, temperatura ottimale (attorno ai venti gradi), nessuna interazione con stressori e pericoli esterni, pulizia periodica dell’ambiente, e uno spazio sufficiente per ospitare comodamente fino a 3.800 topi.
Gli animali, furono scelti tra gli esemplari più sani forniti dal National Institute of Mental Health. Il recinto comprendeva cunicoli, zone separate per nidificare e distributori d’acqua. Come previsto, i topi iniziarono a riprodursi, con un raddoppio della popolazione ogni 55 giorni e arrivarono a 600 esemplari in meno di un anno.
Ma dopo un po’ si cominciarono ad osservare le prime difficoltà.
Il primo problema fu quello relativo alla formazione di ruoli sociali all’interno della colonia. Sebbene il numero di animali fosse cresciuto, non avvenne alcun ricambio generazionale, ma si venne a creare una struttura gerarchica in cui ogni topo difendeva lo status acquisito, perfino attaccando la sua stessa prole. Le femmine furono costrette a rintanarsi nelle zone separate per proteggere i loro figli, ma questo non bastò a scongiurare l’aggressività dei “maschi alfa”. Si giunse persino a episodi di cannibalismo, e la mortalità dei cuccioli raggiunse il 96%. L’esasperata competizione sociale spinse i topi ad assumere comportamenti sempre più violenti per mantenere un ruolo di rilievo. Le femmine si rifugiavano nei giacigli più alti per non essere raggiunte dai maschi, frenando drasticamente la riproduzione. Si arrivò dunque al pansessualismo (attrazione sessuale per altri individui indipendentemente dal loro genere) unita a una faticosa battaglia quotidiana in cui una parte dei topi ricorreva alla prevaricazione per non essere emarginata dalla società.
Altri topi, invece, si isolavano dal gruppo e rinunciavano a combattere. Calhoun li definì “i belli”, poiché il loro pelo non era lacerato dai combattimenti e l’alienazione li aveva preservati dalle ferite. Essi, però, erano ai margini della società e passavano i giorni a nutrirsi, senza interagire con altri individui.
Il numero massimo di topi non raggiunse i 3.800 ipotizzati da Calhoun, ma si fermò a 2.200. Oltre a ciò, Intorno al seicentesimo giorno, il numero di topi prese a calare drasticamente, poiché le gravidanze si erano ridotte di numero e molti topini morivano alla nascita, nonostante i confort e le risorse illimitate a loro disposizione. Infine, la società dell’Universo 25 finì per collassare.
La causa dell’estinzione fu l’incapacità di conservare un equilibrio sociale. Calhoun definì questo declino sociale “la prima morte”, alla quale, poco a poco, seguì “la seconda morte”, ovvero, quella fisica. L’ultimo topo morì nel 1973, a cinque anni dall’inizio dell’esperimento.
Nello stesso anno Calhoun descrisse il suo esperimento in una pubblicazione, in cui, parlando delle osservazioni sui topi, lanciava un monito alla specie umana. Infatti, in un passaggio scrive: “Non importa quanto sofisticato l’uomo creda di essere, una volta che il numero di individui in grado di ricoprire un ruolo sociale supera largamente il numero di ruoli disponibili, la conseguenza è la distruzione dell’organizzazione sociale”.
Inoltre, osserva che, nell’esperimento, le risorse illimitate siano state in realtà un’aggravante per le lotte interne, in quanto i singoli individui hanno dovuto preoccuparsi soltanto sull’interazione e non sulla sopravvivenza.
Negli anni successivi, gli studi di Calhoun sono stati ripresi non per spiegare il comportamento degli animali, ma per fare un parallelismo con la nostra società.
OSSERVAZIONI
A mezzo secolo di distanza, appare sempre più convincente che l’esperimento denominato Universo 25 possa descrivere per alcuni aspetti e con le necessarie cautele il mondo in cui stiamo vivendo. La lotta per un posto nella società si è inasprita in seguito alla diminuzione dei ruoli da occupare, come dimostrano i tassi di disoccupazione giovanile in molti Paesi del mondo. Anche l’illusione di avere a disposizione risorse illimitate (convinzione divenuta oggi più traballante) che per anni ha caratterizzato la filosofia delle nazioni industrializzate. non ha garantito tranquillità ai suoi abitanti, ma ha alimentato in molti l’istinto di prevaricazione sui propri simili. E, anche in questo caso, si arriva all’isolamento.
Ma le analogie non sono finite. I “belli” di Calhoun, ovvero i topi che rinunciano alla società, possono essere paragonati ai waldgänger del filosofo tedesco Ernst Jünger, che si ritirano nella foresta, o agli hikikomori, che si isolano, abbandonano le interazioni sociali per difesa e per necessità.
Infine, il malessere degli individui che porta alla distruzione (loro e della società a cui appartengono) non sembra essere generato da angustie economiche o da carenze di risorse.
Infatti, i dati disponibili indicano che le nazioni più tecnologicamente e con più risorse sono anche quelle con il più alto tasso di suicidi, mentre il continente con il PIL pro capite più basso, ovvero l’Africa, è quello con il tasso di suicidi più basso, mentre l’Europa è al primo posto, trainata dai Paesi scandinavi.
Il fattore che innesca l’autodistruzione sarebbe, quindi, più legato alla difficoltà di dare un senso sociale (e intimo) alla propria vita, in un contesto sovrappopolato e con pochi sbocchi realizzativi.
Concludiamo riportando un’intervista di Elon Musk, in cui il noto imprenditore ci avverte di una pericolosa deriva innescabile dall’impatto causato da Intelligenza Artificiale e robotica.
Insomma: c’è un bel po’ da riflettere!